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Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler

Regia di Dani Levy vedi scheda film

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La recensione su Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler

di logos
7 stelle

Una commedia per descrivere l’incomprensibilità del male subìto, di come un omiciattolo abbia potuto portare il proprio popolo alla distruzione inferendo lo sterminio degli ebrei, di altri etnie e di altri esseri umani considerati anomali.

Si tratta di un tema spinoso, per come lo affronta Levy, sempre in bilico tra l’acquiescenza e la denuncia.

Per certi versi si può dire che qui Hitler appare in una versione levigata e su cui tutte le critiche, in parte giustamente, si sono scagliate.

E’ un uomo solo nel gennaio del 45, in mezzo a una Berlino distrutta, che non è più in grado di affermare la potenza che pensava di avere nel 39, e che solo un grande attore teatrale ebreo è in grado di rifargliela ottenere, mediante una sorta di preparazione psicologica per il grade discorso di rilancio, in cui Hitler si riappropri di sé, non solo regolando la prosodia e la respirazione necessaria ma anche attraverso un lavoro di introspezione.

Ma da questa preparazione alquanto originale (dove Hitler impara a sollevarsi al cielo con la postura pur rimanendo coi piedi ancorati alla terra, a meditare per far affluire e defluire la rabbia che provò sin da piccolo, quando suo padre lo picchiava arbitrariamente, mentre lui era inerme e indifeso; e dove non mancano effetti comico grotteschi) emerge come tutto il male che ha subito l’abbia poi riversato sugli altri popoli, attraverso un processo di identificazione-rimozione e di spostamento.

 

In altre parole, Hitler odia se stesso per non aver reagito contro il padre, ma rimuove questo odo e lo sposta  su tutti coloro che reputa indifesi, inermi, impotenti, così come era lui nell’infanzia nei confronti del padre. E’ certo questa un’operazione di sapore ebraico, dove il carnefice è ancor più carnefice perché non riconosce che le sue vittime non sono altro che il rispecchiamento di se stesso. E’ un’operazione inoltre a doppia faccia: perché colpisce Hitler ma anche l’inerzia di interi popoli, in particolare gli ebrei, di fronte al nazismo.

 

Non credo sia un’opera scontata, perché oltre a rimarcare in modo volutamente non appropriato la mostruosità dell’hitlerismo con tutte le sue conseguenze atroci tra burocraza e movimentismo frenetico, dove tutto alla fine è possibile nell’illegalità legittima del potere carismatico (cfr. Max Weber), pone anche l’accento su un altro scandalo, forse ancor più tragico, ossia la passività del resto d’Europa. E se tanti ancora continuano a scrivere libri e film su Hitler è perché, sembra voler dire questa commedia, non si tratta soltanto di non dover mai dimenticare (il che è sacrosanto e non ci sarebbe neanche il bisogno di dirlo), ma quanto piuttosto per il fatto che, sotto sotto, non abbiamo mai veramente voluto fare i conti con la nostra complicità perché una mostruosità del genere diventasse storia.

 

In questo senso per me quest’opera non è da sottovalutare più di tanto, se non per il fatto che Hitler appare quasi come un bisognoso di aiuto. Eppure è proprio attraverso questo espediente (comunque non ben riuscito e anche poco simpatico) che sceneggiatura e regia tentano di far vedere come il male, per quanto abissale, è arginabile se non vi è la complicità di chi lo subisce. Difficile da digerire, ma anche materiale su cui riflettere, soprattutto oggi, dove la complicità verso certi populismi si sta trasformando in un razzismo etnicista sempre più funzionale alle alte sfere dell'U.E., per ragioni di "emergenza"sul controllo dei flussi migratori...

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