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Un italiano in America

Regia di Alberto Sordi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un italiano in America

di gmigliori
7 stelle

Più ombre che luci nel sogno americano di un benzinaio romano catapultato in America alla ricerca del padre perduto. Accanto ai punti deboli tipici del Sordi regista, non mancano motivi di interesse e di fascino: lo consiglio!

Un americano a Roma è diventato un romano in America

 

Il mito dell’America, spesso riproposto da Sordi, trova una sua definitiva consacrazione in questo film del 1967. La specularità del titolo rispetto a Un americano a Roma del 1954  ci offre una prima (e abbastanza scontata) chiave di lettura. Nando Meniconi, reincarnatosi nel   benzinaio Giuseppe Marozzi, ha finalmente trovato il modo di realizzare il suo sogno americano. Un funzionario dell’Ambasciata americana si materializza nel suo distributore di benzina [spottoni per la Gulf à gogo]  per annunciargli che suo padre, che tutti credevano morto, è in realtà vivo e vegeto e lo sta attendendo in America per riabbracciarlo. La proposta è quella di incontralo nel corso di uno show televisivo, il tutto a spese dell’organizzazione: l’occasione è unica e irripetibile e il tono del funzionario (rappresentante locale dell’onnipotente  zio Sam) decisamente  perentorio : Giuseppe non può che accettare.

 

Lo spaesato e ingenuo Giuseppe viene così catapultato sulla ribalta di una surreale Carramba che sorpresa! ante litteram e subito fagocitato dallo smagliante e colorato showbiz americano (impietosamente ritratto nella sua ipocrisia):  mascherato da gondoliere, trasformato in pagliaccio per il grasso divertimento degli americani, può riabbracciare in diretta l’anziano padre Lando “Mandolino”  Marozzi redivivo, fuggito in America da molti anni, decisamente più a suo agio con il mondo dello spettacolo e subito pronto a recitare con grande scrupolo il suo  ruolo nella  sceneggiata grondante stereotipi sugli italiani (sancita da uno stacco pubblicitario dedicato agli spaghetti Buitoni) . Molto amara  e umiliante a mio avviso la percezione proposta da questo film dell’Italiano nell’America trionfante del dopoguerra: indissolubilmente associato ai più vieti luoghi comuni (gondoliere, mangia spaghetti compulsivo, buffone, melodrammatico, mafioso, ecc.) e ridotto a tragicomica macchietta, a maggior ragione dopo l’esito, catastrofico per l’Italia, dell’ultimo conflitto mondiale.

 

Fagocitato e prontamente espulso dopo aver ottenuto il suo canonico quarto d’ora di celebrità, Giuseppe (ma il suo nome è stato immediatamente storpiato da tutti in “Giuseppi” … per caso vi ricorda qualcosa?) al suo risveglio il giorno dopo, alla luce del sole comincia a venire a contatto con una realtà molto diversa da quella che gli era stata fatta apparire dal rutilante baluginio dello spettacolo notturno.  Questo padre redivivo appare sempre più insofferente nei suoi confronti  e costantemente implicato in usa serie di loschi affari (legati alla sua smodata passione per il gioco) che faranno emergere il suo bieco cinismo, la sua indole da basso truffatore da quattro soldi, vile e incapace di assumersi responsabilità,  per la quale non esita a sfruttare economicamente il figlio, truffandolo ripetutamente. Giuseppe vede ma non vuole vedere, si aggrappa alla sua illusione di un sogno americano che gli si sgretola davanti trascinandolo in una serie di disavventure itineranti  (si innesca puntualmente  il meccanismo del road movie) sulle quali non mi soffermo per lasciarvi il piacere della visione, ma anche perché a mio modesto avviso la sequenza più interessante e originale è quella iniziale dello show. Per quanto riguarda il finale, sottolineo soltanto un interessante parallelismo con la scena iniziale, una chiusura della storia ad anello, non priva di malinconia ma anche di fiducia verso un possibile nuovo avvenire: per chi ha voglia di rimboccarsi le maniche adattandosi a un lavoro umile ma onesto, un posto si trova sempre negli States. Paradossalmente, dopo il rapido crollo delle illusioni di ricchezza generate dal padre millantatore, nessuna delle grandi promesse dell’America viene mantenuta ma al tempo stesso, in maniera imprevedibile, si realizza il personale sogno americano di ”Giuseppi”.

 

Terza protagonista sicuramente l’America, gli States raccontati  nel loro splendore urbano ma anche nel degrado e nello squallore delle periferie, attraverso cartoline di viaggio, vedute panoramiche coast to coast (New York, il New Jersey, Holliwood, Las Vegas, Arizona, New Mexico, Texas, Memphis  gli stati e le città attraversati dalla coppia) che secondo me possiedono una valenza documentaria e sociologica molto interessante (impostazione già proposta nel precedente Fumo di Londra).

 

Una parola finale sulla coppia Sordi – De Sica, già rodata in Mio figlio Nerone (1956) e  Il conte Max (1957), poi riproposta con inversione di ruoli (Sordi farà il padre scapestrato, Verdone il figlio ingenuo e idealista) in Viaggio con papà, (1982). Vittorio De Sica, che con il personaggio di Mandolino condivide la smodata passione per  il tavolo verde,  recita il ruolo del comprimario con grande nonchalance ma anche con una punta di rassegnazione, per la serie “chessedevefapecampà”.

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