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XXY

Regia di Lucía Puenzo vedi scheda film

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La recensione su XXY

di Kurtisonic
8 stelle

Buon esordio della regista argentina Lucia Puenzo, che per parlare di giovani, di rapporti interpersonali difficili, di adolescenti inquieti  in piena crescita, introduce un argomento particolarmente forte come l’ermafroditismo. Alex, quindicenne, che apparentemente sembra una ragazza, ha un corpo fornito di organi genitali maschili e femminili. La sua famiglia, disorientata e preoccupata si trasferisce da Buenos Aires sulle coste uruguayane dove riceveranno la visita di un altro nucleo familiare, composto da una coppia con figlio, amici di vecchia data della madre di Alex. Il film si rivela interessante da subito, lo scenario naturale e lo stile di ripresa con un lavoro dettagliato sui personaggi, la scarnificazione dei dialoghi che però si susseguono continui, conferiscono al film quei rimandi caratteristici del cinema autoriale e indipendente europeo da cui tanti hanno preso riferimento. Nonostante la centralità del tema presente all’interno della storia, è la marginalità che più interessa alla regista, i vari personaggi sono al confine di una condizione umana indecifrabile, solo lo sviluppo e il controllo delle relazioni interiori porterà alcuni di loro a riconquistare quel centro di sé, quel senso della vita che non si fa trascinare dentro pregiudizi, condizionamenti e paure ancestrali. La regista rappresenta l’insieme dei protagonisti con una serie di loro opposti che arricchiscono di particolari e di punti di vista  gli stati d’animo e le aspettative che si colgono lungo la storia. La natura spoglia e selvaggia che viene mostrata è appaiata agli stati d’animo dei protagonisti, anche quando viene addolcita dalle immagini risulta sempre più ostile e inquieta. Il confronto, lo scambio, la comunicazione anche negata fra i personaggi, svelano progressivamente l’essenzialità, l’importanza dei legami più veri, il tema dell’ermafroditismo diventa secondario, subalterno ad un intreccio psicologico formativo e sociologico che coinvolge  e che nonostante qualche eccesso simbolico e qualche ripresa un po’ troppo esplicativa porta il film ad una conclusione ben determinata. Oltre alla buona prova di Inès Efron nella parte di Alex, emerge prepotentemente la figura fondamentale di suo padre, biologo, nel sottotesto la sua presenza fisica e morale diventa emblematicamente rappresentativa di quel patrimonio umano che ogni essere dovrebbe donare agli altri sotto forma di un energia spirituale che sappia vedere e parlare, che contenga desiderio, sentimento, orizzonti di vita migliori e la voglia di comunicare. Mentre gli altri protagonisti adulti si appelleranno a tentare soluzioni istituzionali, scientifiche, socialmente accettabili, il padre matura un atteggiamento di fronte al corpo non mostrabile della figlia diviso fra  un'angoscia profonda e un processo evolutivo crescente, fatto di un affettività e una vicinanza  che per una volta riabilita un pò questa figura sempre discussa. Un altro aspetto fondamentale e significativo, che come il precedente si sviluppa gradatamente con la coscienza dello spettatore, sarà racchiuso in quel nuovo mondo che si va formando fra Alex e i suoi amici più cari, pur sconfinando nei territori dell’innamoramento o della semplice attrazione fisica, mostrano un insieme, un senso collettivo di condivisione della  vita senza troppe sovrastrutture mentali, liberando sensibilità, sentimenti, pulsioni del cuore.     

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