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Izgnanie

Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film

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La recensione su Izgnanie

di Tex61
10 stelle

Quando scriviamo di cinema scriviamo di emozioni, quando scriviamo di emozioni scriviamo della singolarità di ognuno di noi, di percezioni, di stati d’animo, di “propensioni” a vivere ed “indossare” determinati eventi descritti e/o ad essere folgorati da determinate inquadrature. Quando parliamo di Andrej, dall’impronunciabile cognome, parliamo di un autocompiaciuto formalista, autoreferenziale e prolisso; scriviamo di un ossessionato dal particolare, dalla composizione dell’inquadratura (ma in questo caso forse sarebbe meglio citare Krichmann) che, quando non lo soddisfasse in presa diretta, viene sicuramente corretta in post-produzione.

Con Izgnanie ho completato la visione dei suoi quattro film e questo è sicuramente quello più “ossessionato”. Ad “Andrej l’impronunciabile” piace fare il saccente, il colto che farcisce di frasi bibliche ed evangeliche il narrato, di puzzle dell'Annnunciazione di Leonardo da Vinci nei giochi dei bambini, di greggi di pecore transumanti. Però sono quasi sempre simboli, nulla viene proposto a caso. Ma, nel protrarsi della forma, certe inquadrature non hanno paragone; sono pura arte cinematografica e non sono quasi mai fini a se stesse o puri e sterili esercizi di stile. Perché Vera sotto il porticato che aspetta un drink è arte e basta, la profondità di campo data dalla panca in primo piano, la perfetta centratura del soggetto, la luce e il parapetto cadente è arte e basta; e nulla sottrae alla drammaticità dell’imminente rivelazione. E’ solo il rigoroso punto di vista di "Andrej l’impronunciabile". Quando Vera esce, capelli sciolti, a gustarsi l’ultima ventata di vita, commuove, turba. Ha un vestito rosso e quel colore ci voleva per riempire gli occhi e nulla toglie o distoglie da ciò che accadrà a breve. Cito queste, ma in centocinquanta minuti almeno centoventi sono emozioni dipinte su pellicola. Quindi, a mio modestissimo parere, quando riesci a coniugare efficacemente l’immagine (il cinema E’ PRIORITARIAMENTE immagine) e lo spessore della trama con riflessioni sul rimorso, sulla colpa, sul pentimento, sull’incomunicabilità di troppi rapporti, sui limiti e le fragilità della famiglia di stampo patriarcale, sulla morale, sul “dovere di continuare la famiglia a prescindere” connesso al ruolo educativo genitoriale (criticabilissimo ma vivo e sentito in determinate culture), sull’insostenibile peso che per molti assume l’esistenza, sull’errore che spesso si cela nel giudizio affrettato e tutto ciò lo fai con la rigorosa forma del “maestrino in cattedra Andrej l’impronunciabile” sei probabilmente uno dei maggiori registi russi viventi. Non mi ha completamente convinto l’epilogo finale, ma mi hanno grandiosamente convinto i precedenti centoquarantuno minuti. Colonna sonora praticamente assente ma quando presente è ovviamente necessaria e funzionale ad un efficace commento dell'evento scenico. A mio modestissimo parere il pluricriticato Izgnanie del presuntuoso “Andrej l’impronunciabile” è un grande film con qualche perdonabile e veniale eccesso che verrà corretto, dopo qualche anno, in Elena e Leviathan, smussando (non rinnegando) i contorni del suo ossessivo ed ostentato formalismo. Grande cinema ovviamente non diffuso in Italia.

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