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Come l'ombra

Regia di Marina Spada vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Come l'ombra

di giancarlo visitilli
8 stelle

Quanti anni or sono che il cinema non parla più di noi, che il cinema racconta balle, che il cinema descrive come vita ideal-standard quella dell’America? E non solo per mancanza di artisti a tutto tondo come Rossellini, De Sica e quanti hanno fatto della realtà la loro arte, ma soprattutto per l’avvento della tv e, peggio ancora, di personaggi come la De Filippi e tanti altri anche della tv di Stato, che ci presentano continuamente i cloni (di deficienza, ignoranza, illegalità e ingiustizia) come modelli ideali e reali. Questi appaiono “come ombre”, fantasmi, al contrario dei quali una regista bravissima, Marina Spada, già apprezzata nel 2002 per Forza Cani ha voluto, invece, mettere sotto gli occhi di tutti la vita reale di noi persone che, passanti come ombre solitarie, lasciamo il segno tangibile della nostra presenza lì dove si svolge il nostro sopravvivere. Per un paradosso, la realtà appare come un’ombra.
La vita reale di cui Marina Spada ne ha ritratto una solidissima opera, è abitata da tante solitudini che si incontrano, si incrociano e si perdono, in luoghi, la sua stessa città (la Spada è Milanese), che sono anch’essi tangibili: sono le nostre case fatte di muri, finestre e segreterie zeppe di messaggi, perché non c’è tempo e spazio per l’ozio da “Grande fratello”.
Le protagoniste del film, quasi tutte donne ( e già questo, per un paese come il nostro, appare come un’ombra) sono le stesse che, rincasate devono lavare la propria roba intima perché asciughi per il giorno dopo; la casa appare veramente come il luogo dove “i panni (dell’intimità, degli affetti, ecc.) si lavano in casa”.
Al di fuori, poi, la città, una Milano che potrebbe essere Bari, Palermo, ma anche qualcun’altra del settentrione, anonima, statica, alla maniera degli spazi urbani raccontati e ben descritti dal primo Wenders, ma anche dal nostro Antonioni, dall’Olmi di Il posto e, per citare un regista di oggi, Kim Ki-Duk di Ferro 3.
Claudia (interpretata dalla straordinaria Anita Kravos), la donna che si aggira nel grigiore quotidiano della metropoli italiana, incarna l’immagine di una città contraddittoria, da sempre descritta nella sua caoticità e mai realmente raccontata per la solitudine e lo smarrimento che ogni metropoli suscita. Claudia lavora in un’agenzia di viaggi, ma non è un caso che aiuti a far partire gli altri, recludendo sé stessa in un’assordante spazio solitario. A tal proposito è stata determinante l’opera fotografica di Gabriele Basilico, ch’è riuscito a fotografare una Milano sospesa, quasi nascosta a sé stessa, a confondere la vita di Claudia, con la stessa della città in cui vive. Qui, ad un certo punto, si fa presente, anch’essa come un’ombra, la vita di un altro misterioso personaggio, che ha la capacità di rivoluzionare l’intera storia, oscurando sempre più quelle zone d'ombra della città. Qui non ci sono “le finestre di fronte” alle quali tutti sanno tutto di quello/a che abita a fianco. Qui c’è, invece, il cinema del silenzio, dei tempi morti, zeppi di gesti comuni e ripetitivi. Gli occhi degli altri, compreso quello della camera, quasi sempre, resta al di fuori di ogni stanza, casa, luogo, personaggio.
E’ evidente che tutta l’opera di Marina Spada è lontana un miglio da quella di tanti cialtroni che vivono nell’Urbe, lì dove il cinema lo si vive da mestieranti. Basti pensare che lo sceneggiatore e il produttore esecutivo di Come l’ombra, Daniele Maggioni, è direttore della Scuola di Cinema di Milano, dove, fra l’altro, la Spada insegna. Questo film, a differenza di tante cacche che fuoriescono da Cinecittà, non ha avuto finanziamenti ministeriali: è low-budget. Questo film s’è potuto fare perché gli amici, gli attori, il musicista, il fotografo, il macchinista, c’hanno messo di loro per realizzarlo. Perciò è evidentissima la qualità.
Il finale aperto, lascia anche noi spettatori attoniti e smarriti in uno spazio che, sebbene illuminato c’impedisce di vedere coloro che vagano nell’ignoto, a prescindere dalla loro nazionalità italiana, ucraina o russa. Perché l’unica verità è che “C’è più vita su Marte. Ma anche se ci fosse vita nessuno ci noterebbe”.
Giancarlo Visitilli

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