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E io ti seguo

Regia di Maurizio Fiume vedi scheda film

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La recensione su E io ti seguo

di OGM
7 stelle

Grande, senza saperlo. Solo, senza rendersene conto. Giancarlo Siani non era consapevole dell’entità della posta in gioco. Ci sono luoghi in cui la verità ha un peso abnorme, poiché non è, semplicemente, ciò è giusto scoprire e denunciare. Si può affrontare il compito animati da un comune senso del dovere, dalla naturale passione per il proprio lavoro, da principi e sentimenti tipici della gente perbene, che, nel suo piccolo, nulla chiede e nulla teme. Il cronista ventiseienne de Il Mattino, trucidato dalla camorra il 23 settembre del 1985, è andato incontro alla morte passando per una quotidianità da giovane curioso e lavoratore precario, senza altra ambizione che quella di esercitare il proprio mestiere con scrupolo e coscienza. Un bravo ragazzo come tanti, diventato un eroe non per caso, ma per forza, in un contesto in cui la regola era tacere e lasciar perdere, e andare fino in fondo un’impresa quanto mai azzardata. In una Torre Annunziata insanguinata da una feroce guerra tra clan, il vero combattente è una disarmante eccezione, un ingenuo testardo che, con i soliti poveri mezzi, si affanna come può per stare dietro alla propria coerenza.  Il film di Maurizio Fiume, una produzione indipendente che precede di ben sei anni il più famoso Fortapasc’, è il racconto irrequieto e sgomento di una ricerca che a fatica si insinua, come una timida intrusa, in una fitta e oscura rete di connivenze tra criminalità organizzata, potere politico e mondo imprenditoriale, sullo sfondo di una magistratura che riesce solo a fare da contorno, chiusa nel suo ruolo protocollare ed interamente privo di incisività. Il primo piano è tutto riservato a lui, anonimo riempitore di colonne di giornale e scartabellatore di polverosi faldoni, che, da studioso puro, si fa silenziosamente strada attraverso la giungla del non detto. Il suo coraggio coincide con la ribelle anticonvenzionalità di chi va controcorrente perché non percepisce, attorno a sé, il flusso che punta nella direzione opposta. Non avverte la spinta della massa, nel suo isolamento di segugio sui generis, che respira l’aria viziata delle redazioni e degli archivi, che legge, riflette, scrive, che tocca i territori proibiti da lontano, con la punta della penna. Dalla scrivania, la realtà si lascia docilmente scalfire, senza emettere alcun lamento. Il suo gemito lacerante è inudibile a chi sta dentro la storia da osservatore intellettuale, e per segnalare a noi la sua presenza, là fuori, nelle strade, nei negozi, e nelle case, deve intervenire l’urlo musicale della colonna sonora. Questa battaglia, dalla pericolosità tanto immane quanto nascosta, si può narrare solo con l’andamento discontinuo e sospirante di chi si muove dentro un labirinto che ostruisce la visuale, che restituisce il quadro della situazione in maniera frammentaria, cambiando continuamente angolazione, in un estenuante capogiro. È la caleidoscopica penombra che circonda le inchieste condotte dal basso, radicate nell’ignoranza del popolo innocente, avvolte nel genuino entusiasmo  dei liceali che manifestano contro la camorra, intrise nel sanguinoso strazio dei morti ammazzati sulla pubblica via. È  il primitivo furore di chi vede, ma nulla può. Di chi non sa, ma vorrebbe capire. Giancarlo Siani ha cercato di togliere quel nulla, quel non. Un Davide lanciato contro un Golia fatto di assenza, di buio, di vuoto da colmare. Il buco si tappezza un pezzo alla volta, mano a mano che le scintille dell’intuizione riescono a convertirsi in schegge di luce. Un simile rompicapo è una sfida che oppone alla pazienza del solutore la brutalità delle cose rozzamente incompiute. Quelle che si lasciano vincere non con sistemi canonici, con autorità e metodo, bensì con l’umile tenacia del cacciatore che si sposta a livello del terreno, che arranca e inciampa.  E che, per correre dietro a una preda fantasma,  entra nella palude e si impantana. 

 

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