Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Cominciamo subito con una nota dolente: i dialoghi, sublimi in "Le Conseguenze Dell'Amore", fra enigmatici aforismi e laconiche sentenze, scadono qui in insipide battute ad effetto, scivolano rovinosamente in una letteratura di basso profilo. Il copione, ora ellittico ora debordante anche nel film precedente, ma là misurato e conchiuso, annaspa in "L'amico di famiglia" sotto il peso di un futile e superficiale affastellamento di figure che definire personaggi sarebbe fuori luogo, in quanto si tratta di una mera galleria di freak di un'Italia allo sbando morale. Sociologicamente inattendibile, registicamente irrisolto per quanto riguarda il connubio fra iperrealismo e deformazione grottesca, ambiguo nei rapporti fra etica ed estetica (un esempio per tutti: la scena del ballo in piazza di Laura Chiatti, al termine di un concorso di bellezza, con un montaggio da videoclip che pare esaltare, anzichè condannare lo squallore "velinaro" del contesto). Prolisso in più frangenti; indiciso nell'inopinata svolta melodrammatica del finale che avrebbe meritato di essere portata fino in fondo, irrisolto ed incomprensibile negli strampalati colpi di scena del convulso epilogo (i tre attori-centurioni, sull'orlo del ridicolo!); sbagliato sia nei passaggi autoreferenziali sia in un citazionismo fuori contesto (il cowboy!? ma cosa voleva essere? un omaggio al Lynch di Mulholland Drive, forse? ma forse Sorrentino dimentica di essere campano, non statunitense, e forse risulterebbe molto meno goffo ed impacciato se si limitasse a maneggiare i luoghi comuni di un immaginario che gli appartiene, quello partenopeo); penalizzato dalla performance di Laura Chiatti, a mio modesto parere una delle peggiori attrici che conosca. Si salva in corner e merita le 3 stellette, solo per due motivi: l'azzeccata figura dell'usuraio (l'unica disegnata decentemente dalla sceneggiatura e resa in maniera efficace dalla camminata di Rizzo) e la capacità di restituire in maniera palpabile il maleodorante, patetico, meschino e corrotto paesaggio (dis)umano, protagonista del film, a cui contribuisce, per mezzo di alcune azzeccate scelte espressioniste, che riportano forse ai maestri tedeschi Wiene e Murnau, la sordida fotografia in penombra di Bigazzi.
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