Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Una recensione letta giusto stamattina su un quotidiano iniziava cosi': "Chi ha amato molto "Le conseguenze dell'amore" non puo' che essere deluso dal terzo film di Paolo Sorrentino". E ci ha preso in pieno. Il film precedente mi aveva molto catturato, mentre questo non e' che mi abbia proprio deluso, diciamo che mi ha spiazzato parecchio. E non sono riuscito a coglierne il senso. Lasciamo da parte la storia (che si riduce ad indagare nella mente e nell'animo di uno squallidissimo personaggio, e nei suoi rapporti con coloro che lo frequentano). E ' proprio lo STILE del regista che non mi convince, o, per meglio dire, non l'ho capito bene. Trovo che le scelte "estetizzanti" siano eccessive. Tanto che, in certi momenti, si vedono scene brevi che sembrano messe li' per "fare effetto" e che paiono essere potenziali brani di ipotetici videoclips. Insomma: appare chiaro che il regista decide di mettere in secondo piano il meccanismo narrativo per concentrarsi prevalentemente sullo STILE. Scelta, questa, che io non condivido. Per fare un solo esempio: all'inizio del film ci sono ben 3 o 4 scene, tutte slegate fra loro, che rappresentano altrettanti inizi, il che (o forse io non ho capito...bah) non ha un senso, ma siccome sono immagini "forti" (e anche belle, esteticamente, non discuto questo)il regista le ha collocate in apertura una dopo l'altra.
L'autore e' una vecchia conoscenza (almeno per chi, come me, segue la produzione discografica underground/indipendente italiana): il geniale musicista friulano Mauro Theo Teardo.
Non e' che sia una interpretazione memorabile; diciamo che se la cava, ecco. Di memorabile resta comunque la sua bellezza.
Qui interpreta un ruolo secondo me poco significativo, nel senso che viene "raccontato" in modo piuttosto superficiale. Intendiamoci: Bentivoglio e' perfetto; e' il suo personaggio che e' "scritto" male.
Ecco il pilastro su cui si regge tutta la baracca. Una interpretazione incredibile. Rizzo e' un attore napoletano che proviene dal cinema "di genere", e in particolare dai "Decameroni" degli anni '70, oltre ad avere un ricco passato come attore di avanspettacolo. Rizzo riesce a rendere tutto il sordido e lercio mondo di questo usuraio, uomo la cui perfidia e cinismo hanno condannato alla solitudine degli affetti. Esteticamente il personaggio e' reso in maniera sorprendente, con una camminata a passo di trotto e con un sacchetto che pende da un braccio ingessato. E per finire una cosa che in pochi (forse) hanno notato: interessante sarebbe tracciare un parallelo fra QUESTO personaggio e il protagonista (interpretato da Ernesto Mahieux) ne "L'imbalsamatore" di Matteo Garrone. Entrambi sono due MOSTRI vittime di ossessioni e solitudini.
Come dicevo prima, a un certo punto la scenggiatura sembra esser messa in secondo piano per fare spazio all'estetica e allo stile. In definitiva: regista troppo "stiloso".
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