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L'ultima donna sulla Terra

Regia di Roger Corman vedi scheda film

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La recensione su L'ultima donna sulla Terra

di casomai
6 stelle

In tempi bui come i nostri, funestati da minacce planetarie che vanno dal cambiamento climatico all’impoverimento delle risorse naturali, senza parlare dei conflitti religiosi, il colmo per gli eventuali superstiti di un’apocalisse globale sarebbe non riuscire nemmeno a capire per quale motivo, dopo tanti discorsi sul destino del pianeta, l’umanità sia scomparsa dalla faccia della terra. I protagonisti di L’ultima donna sulla terra  sono, se possibile, ancora più radicali. Sopravvissuti a una repentina quanto misteriosa moria di tutti gli esseri viventi, dopo aver espresso un paio di fuggevoli ipotesi (disegno divino? bombe “più grandi e migliori?”, qualunque cosa ciò significhi, ma non dimentichiamo che il mondo nel 1960 era in piena guerra fredda e Hiroshima non così lontana), risolvono subito dopo pilatescamente di "ridurre al minimo questo tipo di discorsi". Optando per ciò che Montale chiamerebbe divina indifferenza, non si pongono domande, né tanto meno perdono tempo a darsi risposte. Non che si tratti di buzzurri incolti, tutt’altro. È solo che da bravi anglosassoni decidono di continuare, come se niente fosse, a mantenere le apparenze di una calma e civilizzata esistenza, con tanto di cravatte indossate ai pasti e sfoggi di gioielli, abiti e acconciature.tanto elaborate quanto risibili. Naturalmente l’illusione che tutto sia come prima dura poco, e la regressione allo stato brado, preconizzata dal combattimento dei galli all’inizio del film, è solo dietro l’angolo. Eppure, anche dopo tanto scalmanarsi per conquistare l’unica, forse l’ultima donna sulla terra, il finale ci fa ripiombare nell’accettazione supina di un destino ignoto. Evelyn (anzi Eve, la nuova Eva, destinata forse – ma come? – a dare vita alla nuova razza umana) dimentica nello spazio di pochi secondi la passione per il giovane Martin che lo aveva spinto a lasciare il marito, lo abbandona esanime e torna, davanti a un altare, a stringere la mano a Harold, col quale si avvia impassibile verso l’inizio di una nuova esistenza tutta da inventare. Fino all’ultimo non sappiamo se ci siano altri sopravvissuti all’ecatombe, magari con le stesse modalità con cui i nostri eroi si sono salvati (del resto è ben probabile che in un dato momento sulla Terra ci siano più di tre persone sott’acqua). Ma il regista Roger Corman, celebre per la sua abilità di fare film con due lire, non ce lo dice, e lascia molto all’ellissi narrativa, all’immaginazione dello spettatore e in fondo anche alla suggestione del tema escatologico. Idem per quanto riguarda la descrizione della fine del mondo. Le montagne di cadaveri che in teoria dovrebbero affollare un posto così popoloso come Portorico non si vedono, e il regista indugia invece per qualche secondo, e con un certo qual voyeurismo, sul cadavere di una bambina stesa tra il marciapiede e la carreggiata. I numerosi primi piani dei protagonisti sono il surrogato preferito da Corman per le panoramiche desolate della terra post-apocalittica che ci si attenderebbe di vedere in un film del genere, e anche situazioni sceniche potenzialmente costose vengono risolte in modo sparagnino, come la sequenza in cui Eve “dovrebbe”essere in bilico su una ringhiera, animata da un repentino cupio dissolvi, sennonché di tutto ciò non vediamo che il viso del personaggio e l’espressione sgomenta di Martin, che assiste a questo mezzo tentativo di suicidio. Intendiamoci, non è che il risultato alla fin fine sia un granché, vuoi per i buchi narrativi, i dialoghi dozzinali e le banalità da manierismo cinematografico, in cui il cinema non imita la vita bensì il cinema stesso. Ma Corman riesce nell’intento che gli sta a cuore: creare illusione con i mezzi a disposizione, anche se risicati. E in fondo non è proprio questo che amiamo del cinema?

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