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A cavallo della tigre

Regia di Luigi Comencini vedi scheda film

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La recensione su A cavallo della tigre

di maurizio73
8 stelle

Finito in carcere per una maldestra simulazione di reato, un modesto e sprovveduto padre di famiglia si ritrova in cella con tre ergastolani sodali decisi ad evadere. Coinvolto suo malgrado nella fuga e fatta amicizia con il più truce ma leale dei tre, una volta fuori scopre che la moglie lo ha lasciato per vivere con un uomo povero ma onesto che la aiuta a crescere i figli ancora piccoli. I due lo convincono a farsi catture insieme al suo compagno fuggiasco per riscuotere la taglia e risollevare così le proprie sorti economiche. Scritto da Age & Scarpelli con la collaborazione di Monicelli e dello stesso regista su di un comune soggetto, è una commedia di amara e caustica ironia che fonda il suo presupposto drammaturgico sulla simulazione e sull'inganno quale componente dominante della natura e delle relazioni umane laddove l'infingimento e l'apparenza sono la maschera fatua di una realtà che non tarda a mostrare la sua cinica e spietata doppiezza. Seguendo il filo della candida confessione di un uomo senza qualità (uno straordinario Nino Manfredi) ci si inoltra lungo vicissitudini tragicomiche di un ineluttabile fatalismo dove ogni possibilità di riscatto e di redenzione sono vanificate dall'inevitabile concorso degli eventi avversi e dalla maldestra propensione all'onestà del suo ingenuo protagonista. Nel segno di una lunga tradizione della commedia di costume nostrana (di cui gli autori sono stati indiscussi protagonisti sin dagli esordi) anche l'opera di Comencini ne riflette gli aspetti peculiari tanto nella duttile agilità della sceneggiatura quanto nella raffinata umanità con cui abbozza ambienti (il carcere) e personaggi (il sottoproletariato urbano) non sfuggendo ai consolidati espedienti di una comicità sociologica di fulminate efficacia (il 'sorcio' furbo e infido, il 'dottore' borioso e moralista, il Tagliabue rude e leale) che si tiene a distanza di sicurezza dagli eccessi della caricatura per una indiscutibile verosimiglianza antropologica e per la calibrata misura del registro drammatico. Sicuramente più efficace la prima parte (dove la citata teoria dell'inganno trova una sua geniale declinazione nel riuscito tentativo di evasione simulata) precipita gli eventi nel rocambolesco finale di amara rassegnazione. Bella la fotografia di Aldo Scavarda. Blando remake di Mazzacurati del 2002. Si ride, ma a denti stretti.

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