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Vergine taglia 36

Regia di Catherine Breillat vedi scheda film

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La recensione su Vergine taglia 36

di maurizio73
5 stelle

Venere acerba in formato tascabile: tratto dal suo '36 Fillette', unisce la più classica delle ispirazioni autobiografiche con i prodromi di una poetica di affermazione della propria autonomia intellettuale, fanno del film della Breillat un piccolo saggio di cinema di costume e modesto divertissement da romanzo di formazione allo stesso tempo.

In campeggio estivo con tutta la famiglia, la 14 enne Lili è un'adolescente curiosa e ribelle che mal si adatta al corformismo ed alle regole, venendo inevitabilmente attratta da uomini più grandi e maturi con cui condividere le prime esperienze sentimentali e sessuali. Ancora vergine e inesperta, irretisce un facoltoso playboy che finisce per lasciare in bianco, preferendo concedersi ad un suo coetaneo che non gli piace nemmeno e di cui non gli importa nulla.

 

 

Venere acerba in formato tascabile: questo in sintesi il soggetto tratto dal suo romanzo '36 Fillette' che unisce la più classica delle ispirazioni autobiografiche con i prodromi di una poetica di affermazione della propria autonomia intellettuale di donna e di artista e che fanno del film della Breillat un piccolo saggio di cinema di costume e modesto divertissement da romanzo di formazione allo stesso tempo. La curiosità intellettuale e le remore fisiche e... viceversa, in un cortocircuito emotivo che ci dice qualcosa sui turbamenti di un età di passaggio e sull' urgenza di rivendicare la propria dignità di essere pensante in un mondo dove le donne sono relegate al ruolo subalterno che la società ha in serbo per loro, con la madre paziente tutrice del focolare domestico e le altre donne allegramente disponibili alle lusinghe del denaro e della bella vita, la giovane Lili cerca la sua difficile strada con l'insormontabile ostacolo di una scomoda verginità tra le gambe e le tare del pregiudizio sociale nella testa. Le volubili schermaglie di una provocante Lolita in un gioco delle parti che ci ricorda con affetto e forse con più disincanto una tematica che il cinema nostrano ha affrontato con accenti ora nostalgici ora sarcastici in piccoli gioielli della commedia di costume, da Lattuada (Guendalina) a Salce (La voglia matta) e che la Breillat traduce nel piccolo racconto autobiografico di una rivendicazione privata e personale con la Zentout quale alter ego e musa ispiratrice al posto delle altre due civettuole eroine del cinema d'oltralpe (Sassard e Spaak) nella loro trasferta versiliana. Il sesso quindi come strumento di una emancipazione sociale che si prova a veicolare dall' interno, rischiando in prima persona con il coraggio di chi prova a confrontarsi con la misoginia ed il conformismo imperanti; un messaggio forte che l'ingenuità della forma cinematografica e l'apparente banalità del soggetto non riescono del tutto a manomettere e boicottare.
Fermo immagine finale in cui una sbarazzina e maliziosa Zentout trattiene appena in camera un sorriso compiaciuto, nell'ammicante passaggio del testimone dall'ormai maturo eroe de Les Quatre Cents Coups: un Jean-Pierre Léaud fascinoso e compassato che si permette la divertita confessione sulla sua vita di uomo e di artista che principia il film e di cui l'autrice sembra appropriarsi nel delineare il suo travagliato percorso di vita e la sua irrefrenabile vocazione per il cinema.
Se approdare alla età adulta trova nella verginità un ostacolo ed un peso insopportabili, pensa la Breillat, tanto vale togliersi subito il pensiero e darla via al primo che capita. Nomination al Pardo d'Oro al Festival di Locarno 1988.

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