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Prigione

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Prigione

di mm40
8 stelle

Prigione è uno dei primi lavori di Bergman, il primo che provenga da una sceneggiatura originale e probabilmente anche il primo a contenere forti richiami alla sua più intima poetica, che verranno riportati a più riprese nella successiva produzione del regista. È insomma un lavoro molto complesso, che si divide fra dramma sociale (campo già setacciato in precedenza da Bergman), ricerca esistenziale, storia sentimentale con l’aggiunta inoltre di due scene completamente a sé: una comica (la proiezione di una vecchia filmina, personale omaggio alla ‘lanterna magica’: il cinema come via di fuga dalla prigione della vita) e una onirica (che precede di una decade quella celeberrima de Il posto delle fragole, ma sostanzialmente vive delle stesse trascinanti suggestioni subliminali, cavalcando poesia, delirio e inconscio), due riuscitissimi complementi nella struttura della trama della pellicola. La comprensione del significato del film si fa ardua non solo per la dispersività dei toni della narrazione (che è in realtà un pregio anzichenò, una grandiosa dote dell’autore), ma anche a causa di un certo simbolismo (ad es. per quanto riguarda la tematica della maternità, che verrà comunque meglio sviluppata nel successivo Alle soglie della vita) e del profondo lavoro di ricerca fra realtà e fantasia/sogno che permea tutto il lavoro. Corto (un'ora e un quarto di durata) e privo per scelta di titolazione (ecco un altro tocco bizzarro), cupo come Bergman sa (ma ancora del tutto non sa di poter) essere, Prigione innesca inoltre la questione dialettica del ‘silenzio di Dio’, mettendo di fronte la certezza del maligno e l'imponderabilità del divino. La scena d’apertura è da salvare in un’ipotetica antologia del cinema bergmaniano: un personaggio smaccatamente autobiografico espone una teoria secondo la quale la Terra è in realtà l’inferno, poiché dominata dal caos: e quale sarebbe il piano del diavolo, quindi? “Il diavolo non ha alcun piano, è questo il segreto del suo successo”, risposta secca e sconcertantemente perfetta. Autobiografica – ma a livello di curiosità o poco più – anche la battuta “Chi non ha paura, quando la polizia bussa alla porta?”, che rispecchia la più volte dichiarata, innata fobia del regista verso le forze dell’ordine. Nel cast due donne esordienti con il Maestro (Eva Henning e Doris Svedlund) e due uomini che invece avevano già esperienze con lui (Birger Malmsten: Piove sul nostro amore, La terra del desiderio, Musica nel buio; e Stig Olin: Crisi e Città portuale): tutti efficaci al punto giusto, merito anche della scrittura minuziosa dei personaggi (tanto che è difficile sostenere con certezza assoluta chi sia il o la reale protagonista del film). Fotografia buia, anche a causa della netta prevalenza di interni, a cura di Goran Strindberg: dopo La terra del desiderio e Musica nel buio è questa la sua terza e ultima collaborazione con il regista. 8/10.

Sulla trama

A un regista viene proposto un film in cui Satana prende possesso della Terra lasciando tutto così com'è. Nel frattempo Thomas, sceneggiatore, si innamora della prostituta Birgitte, la cui figlia è stata uccisa da Peter (il suo ragazzo, nonché padre della piccola) e Linnea, sorella di lui. Birgitte fugge dalla prigione della vita, suicidandosi. Il film su Satana non si farà perchè pone domande a cui Dio non risponde.

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