Espandi menu
cerca
Punk Story

Regia di John Waters vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Marcello del Campo

Marcello del Campo

Iscritto dall'8 marzo 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 106
  • Post 32
  • Recensioni 207
  • Playlist 30
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Punk Story

di Marcello del Campo
8 stelle

 
Cineasta indipendente di Baltimora, città natale di Poe, John Waters non discende in linea coerente dal fantasma sulfureo del geniale narratore di incubi, attratto com’è dalle deiezioni viscerali di eroi del popolo basso, poco adusi a porre mano a saponette e deodoranti.
L’inizio della carriera dell’elegante signore della puzza è inversamente proporzionale alle sue sgargianti cravatte sotto i baffetti alla David Niven con un facsimile di faccia alla Buscemi.
Punk story (1978) e Polyester (1982) sono i biglietti di visita con i quali Waters si presenta al pubblico: il primo è il manifesto poetico, il secondo è visione-annusamento in ‘odorama’, vale a dire che allo spettatore viene consegnato, prima della visione, una sorta di contenitore di odori, simile all’attrezzo con cui l’allergologo riconosce nel paziente l’esistenza di una idiopatica sofferenza di starnuti, febbre da fieno e, ahimè crisi respiratoria. Non mancano le scene scatologiche: vuoi sentire l’odore della merda?, allora passa il dito delicatamente sulla scritta shit e merda arriva all’olfatto. E così via per altri puteolenti aromi.
 
Punk story ovvero Desperate Living è opera per iniziatici olfatti, stralunata, provocatoria (nel ’77, oggi il Capitale ha trasformato in merda l’orbe terracqueo – rovescio del mito di Creso). Niente a che vedere con gli ultimi blandi esiti del Waters normalizzato.
Si può dire che Punk story sia un dirty-movie.
Si tratta, infatti, di una fiaba-spazzatura girata proprio a Baltimora, la città più cattolica d’America.
Waters è cattolico di educazione e con pochi spiccioli dirige il film che in Italia viene censurato nelle scene di vomito, impedendo allo spettatore pagante la sniffata dell’effluvio esogastrico.
 
La storia è molto banale.
 
In una bidonville, dove si rifugiano pazzi, criminali, balordi, - il quartiere delle catapecchie Mortville -, la paraplegica Peggy Gravel (l’attrice Mink Stole [al secolo Nancy Paine Stoll] “Stola di visone”) uccide il marito facendosi aiutare da un’enorme cameriera di colore, Grizelda Brown (Jean Hill) che soffoca l’uomo sotto il peso del suo enorme deretano.
Costrette da un poliziotto a regalargli un paio di mutande, le due donne si rifugiano a Mortville dove abita e impera la sadica regina Carlotta (Edith Massey, la star preferita da Waters oltre il travestito Divine, 150 kg, pseudonimo di Harris Glenn Milstead).
Carlotta è circondata da crudeli neo-nazi-punk che per suo ordine uccidono uno spazzino che si è innamorato della principessa Coo Coo (Mary Vivian Pearce, altra star presente in molti film di Waters).
Dopo varie truci vicende, amori lesbici tra donne cariche di herpes e foruncoli, campionesse di catch avide di sangue, donne cannone, principesse che vomitano materia verdastra, le due complici detronizzano la regina offrendola in pasto ai cittadini della bidonville dopo averla ben cotta alla brace; la principessa sarà giustiziata con un colpo di rivoltella nell’ano.
Il finale dl film è all’insegna di un gran balletto: gli abitanti della bidonville sono liberi dal giogo della tremenda Carlotta.
 
Nel film ci sono scene di sublime disgusto: il topo arrosto pronto da mangiare su un bel piatto di porcellana, o l’uomo deluso in amore che si evira lanciando il pene reciso dalla finestra, immediatamente trangugiato da un cane, scene d’amore tra donnone enormi e pelose, ecc.
Questo materiale-spazzatura ha lo scopo di indurre a un riso fragoroso, liberando lo spettatore attraverso lo choc.
Waters, regista visionario escrementizio riscatta la sconcia messa in scena con improvvisi éclats de rire.
 
Ha scritto Tullio Kezich:
 
Pure evocando ricordi di Biancaneve e i sette nani e di Miracolo a Milano, non lontano dalle atmosfere di Fellini e di Ken Russell, Punk Story ostenta un totale disinteresse per la propria collocazione culturale, quindi una ribalda salute che induce a un riso rabelaisiano.
 
E John Waters:
 
Voglio solo far ridere scioccando. Un riso che provoca un’ansia, un’ansia che provoca il riso.
 
Quanto alla poetica del dirty-movie, Waters si difende affermando:
 
Ci sono cose di buon gusto e cose di cattivo gusto.
 
In Punk Story manca il buon cattivo gusto, In Pink Flamingos Waters ne offre un saggio molto più odorabile: Divine, star en travesti, dà un saggio di coprofagia applicata, descrivendo con divina competenza il sapore delle feci.
 
Del resto, non ha scritto Agostino (o è stato Bernardo di Chiaravalle?): inter faeces et urinam nascimur?           

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati