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36, Quai des Orfèvres

Regia di Olivier Marchal vedi scheda film

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La recensione su 36, Quai des Orfèvres

di ROTOTOM
8 stelle

Bellissimo "polar" della più pura tradizione francese, freddo e secco come solo una metropoli può essere al mattino, che accoglie i suoi personaggi scuri, lacerati nell'anima, segnati in volto. Il minimalismo recitativo dei due protagonisti, sfuggente e compatto Auteuil quanto fisico e trattenuto quello di Depardieu, si staglia nell' asciuttezza stilistica della regia, nel silenzio metropolitano di una Parigi metallica e annodata in svincoli, strade, per lo più deserte, catarsi delle pulsioni contorte, del fare mai troppo limpido dei due protagonisti. Solo le scene d'azione interrompono, come scatti d'ira la calma apparente e la glaciale imperturbabilità di due antieroi sempre più vicini al punto di rottura, sempre più coinvolti senza poter far nulla nella spirale di odio violenza e vendetta che anima le loro azioni. Un gioco al massacro quello avviato dai due poliziotti in gara tra loro per un posto da Direttore della Polizia, il gioco è catturare abilissimi e spietati rapinatori di furgoni portavalori. Ognuno con il proprio metodo, seguendo i propri istinti e i propri fantasmi, soprattutto. Il fantasma di una donna contesa, di una felicità sfiorata appena, il sovrapporsi di interessi in grado di cambiare un'esistenza da parte di un Depardieu cinico quanto inetto, il cui tradimento sotto il sole dell'ex amico Auteuil grida vendetta raccogliendo omertà. Il fantasma di un amico morto per "mano" dell'odiato collega, una felicità conclamata, l'impossibilità di difendere la propria famiglia da parte di un Autetil spiccio nei modi poco ortodossi, il cui accanimento dell'ex amico Depardieu chiede vendetta raccogliendo giustizia. Giustizia da strada, quella strada silenziosa e annodata di svincoli che vive di vita propria, al di là della società delle regole, fredda come un cadavere, metallica come un'arma. Giustizia palliativo, di regole infrante, di codici deviati, di buoni che sono solo meno cattivi dei cattivi. La cella in cui viene rinchiuso Auteuil ha la stesso candore e lo stessa architettura dei palazzi delle periferie solcate dai viadotti, prigione della prigione, un inarrestabile sprofondare dentro sé stessi, nella pancia della società le cui regole servono solo a prendere ufficilamente atto del loro fallimento. Prova ne è lo straziante funerale del poliziotto morto il cui codice di procedura viene deliberatamente ignorato, silenziosamente, con un altro codice, il dietrofront degli uomini schierati sull'attenti come simbolo di rifiuto all'omaggio del responsabile di quella morte, ipocrita ma protetto dalle regole che egli stesso ha infranto. Un grande film, sorretto da una sceneggiature di ferro che pesca a piene mani nel classico noir, nell'hard boiled di Chandler, fondendone i toni gravi con l'estetica dell'azione e del disperato dualismo tipici di M. Mann.

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