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Bande à part

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Bande à part

di Peppe Comune
9 stelle

Arthur (Claude Brasseur) e Frantz (Sami Frey) sono due spiantati che vorrebbero prendersi sul serio come agenti del crimine. La loro vita si intreccia con quella di Odile (Anna Karina), una ragazza bella e semplice che vive con i suoi zii facendogli da badante. I due uomini mirano ai soldi dei due anziani signori e riescono a convincere Odile ad essere loro complice. Forse tra i tre nasce un intrigante intreccio amoroso, o forse i sentimenti non possono nulla contro l'avviata delineazione di un crimine. 

 

Sami Frey, Anna Karina, Jean-Luc Godard

Bande à part (1964): Sami Frey, Anna Karina, Jean-Luc Godard

 

“Bande à part” e uno dei film più paradigmatici del cinema in libertà di Jean-Luc Godard, un autore che si muove tra le esibite trasgressioni alla regola e i conseguenti contributi alla grammatica che si rinnova. “Tutto ciò che è nuovo e per questo automaticamente tradizionale, è scritto appunto emblematicamente (citando Thomas Elliot) ad inizio film, proprio a sottolineare come a corollario della “rivoluzione godardiana” c’è sempre un venire dalla classicità per andare oltre, un rinnovare senza rinnegare.  

L'evanescenza delle azioni, la malleabilità dei sentimenti, la fluidità delle parole, la sovranità extradiegetica del sonoro. Tutto contribuisce a fare di “Bande à part” un film che sublima nella ricercatezza cinefila il piacere di piacersi. La trama è semplice, quasi un pretesto per dare libero sfogo all'esorbitante vena creativa dell'autore francese, quasi uno spunto per illudere lo spettatore di avere un ruolo spendibile nell’illineare sviluppo della narrazione. Una banda (quasi) improvvisata intreccia la transitorietà dei sentimenti con la freddezza calcolatrice di una rapina. Ovvero, un film che nasce come un noir ma che passa più tempo ad interrogarsi sulla natura del sentimento amoroso. Oppure, un tenero ménage à trois che non può in alcun modo sfuggire all'architettura del male. 

Godard destruttura i generi a suo piacimento rendendoli alternativamente scomponibili e sovrapponibili, come per creare un mosaico gioioso che fa dell'elemento metacinematografico una peculiare arma di seduzione visiva. E lo fa non fornendo mai delle coordinate narrative buone una volta e per sempre, ma armonizzandole ogni volta in coerenti soluzioni visive. 

I personaggi sembrano sempre vivere una vita che non gli appartiene, presa in prestito come per divertirsi a recitare alla maniera che suggerisce il momento. Cosa dicono di più, i loro cuori in allarme o il piano criminale che sono decisi a compiere ? Non è dato saperlo, e neanche importa probabilmente, dato che Godard mostra di preferire la sottrazione che toglie certezze all'accumulo che impone delle scelte. La regia “libera” di Godard è un continuo invito a sintonizzarsi liberamente con la natura mutevole del cinema. 

La cosa sorprendente in “Bande à part” (e in tutto il suo cinema direi) è il fatto che a prevalere è sempre la leggerezza dei toni, che scaturisce dalla padronanza estrema del mezzo cinematografico. Nonostante che questa stessa padronanza stia sempre lì a riflettere (qui come altrove) la partecipata adesione di Godard alle potenzialità speculative del fare cinema. 

In “Bande à part” questo aspetto emerge nel modo in cui il sonoro interagisce con i tempi narrativi e con l'organizzazione dello spazio. Si può semplificare dicendo che mentre la voice over delinea le traiettorie sentimentali i dialoghi pensano all'architettura di una rapina. Ecco, Godard gioca con il sonoro facendolo essere un elemento profondamente materico, con una sua autonoma vitalità e una sua concreta determinazione, attributi che valicano le sue “ordinarie” funzioni narrative. Il montaggio è sovrano, quindi, nell'accezione più piena del termine. 

A corollario di tutto questo è quanto mai emblematica tutta la bellissima sequenza del caffè, dove Odile, Arthur e Frantz danno vita ad un intrigante comunione di sensi. Il tutto si apre quando un minuto (o giù di lì) di assoluto silenzio del sonoro si fa esercizio metalinguistico ottenuto con ostentata spavalderia da uno che sa sempre dove vuole andare a parare. Poi entra una voce off che si mette a parlare di Romeo e Giulietta mentre la macchina da presa passa in rassegna i volti dei protagonisti. Infine, sempre la voce fuori campo annuncia che è “arrivato il momento di aprire una parentesi e descrivere i sentimenti dei personaggi. Arthur si guarda continuamente i piedi ma pensa alla bocca di Odile, ai suoi baci romantici. Odile si chiede se i due ragazzi hanno notato i suoi seni che ballano ad ogni passo sotto il golf. Frantz pensa a tutto e a niente. Non sa se è il mondo che sta diventando un sogno o il sogno è diventato mondo”.

Le parole demandate alla volontà sovrana del regista disegnano un percorso carsico che accomuna i tre protagonisti in un universo sentimentale tutto da scoprire. O amore o morte. Per un ménage a trois tra i più belli consegnatoci dalla storia della settima arte. Grande cinema.  

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