Regia di Margarethe Von Trotta vedi scheda film
Margarethe von Trotta, fautrice di un cinema strutturalmente europeo, con Rosenstrasse continua il suo periplo nelle “storie” della Storia del Novecento. Prima di fermarsi in questa strada della Berlino del 1943, ha costeggiato altri momenti, altre figure reali o fittizie, altri strappi, altre autoanalisi collettive del secolo scorso con Rosa L. , Anni di piombo, Das Versprechen e il televisivo Jahrestage. Il punto di vista della rappresentazione privilegia l’ordine femminile del discorso e l’impasto di sequenze che, nonostante i mutamenti sociali, restano “segrete” e differenti. La grammatica dei sentimenti e l’architrave della ricostruzione storica poggiano sul rapporto conflittuale tra una madre e una figlia. Una madre rifugiata in America dalla fine della guerra, a lutto per la morte del marito, contraria al matrimonio della figlia. La figlia vuole conoscere e capire la madre visitandone il passato sospeso e pesante da rimuovere. Il senso di una vita e il senso del film coincidono nel flashback. Nella Berlino del 1943, quando Ruth (la madre) rimane sola, dopo un rastrellamento nazista, è adottata da Lena (Katja Reiemann, Coppa Volpi come migliore attrice alla 60a Mostra di Venezia). Il racconto della vecchia Lena fa rivivere la protesta di tante donne, fiere, fedeli e ariane, che in Rosenstrasse, dalle parti di Alexanderplatz, chiedevano la liberazione di mariti e parenti ebrei che stavano per essere deportati. Uno dei tanti capitoli inediti o ignorati del passato intorno al quale un cinema asciutto, civile e quadrato, con alcune chiose simboliche, scorta il ricordo.
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