Espandi menu
cerca
Il sole della mela cotogna

Regia di Victor Erice vedi scheda film

Recensioni

L'autore

OGM

OGM

Iscritto dal 7 maggio 2008 Vai al suo profilo
  • Seguaci 205
  • Post 123
  • Recensioni 3128
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Il sole della mela cotogna

di OGM
10 stelle

Il quadro non è un ritaglio di realtà, bensì un ritaglio di visione. Prospettiva, luce e ombreggiature non esistono nell’ambiente esterno,  ma appartengono al nostro linguaggio percettivo; è la nostra collocazione spazio-temporale, infatti, a definire distanze, angolazioni e profondità. La geometria è il codice matematico che sintetizza il nostro rapporto con gli oggetti ed i luoghi, delineando i parametri fondamentali della nostra conoscenza delle cose. È  il dove la categoria primaria del nostro essere nel mondo; sono infatti le circostanze della nostra presenza a stabilire il come, fornendo la base alle nostre idee, ed indicando la direzione al nostro pensiero. Nella pittura di Antonio Lopez García è la momentanea disposizione degli elementi del paesaggio a creare l’evento; l’effetto congiunto di contrasti ed armonie produce quella tensione che trasforma l’esserci in un accadere: così una natura morta racconta la storia di un attimo, che raccorda il passato al presente, ed è quindi l’eloquente testimone di un continuo divenire. L’informazione viva è racchiusa nei dettagli dell’insieme, in quei particolari che, apparentemente, sono disposti a caso; il fatto che essi si trovino in quella determinata condizione, e non diversamente, è la traccia rivelatrice di un’evoluzione, e il connotato individuale del singolo istante, che distingue quest’ultimo dagli altri, e fa sì che l’artista se ne possa innamorare.  Il protagonista di questo film può dipingere le mele cotogne solo quando il sole si posa su di esse secondo una certa inclinazione, perché è quello il fotogramma che egli vuole isolare dal tumultuoso scorrere del tempo, sottraendolo al flusso del continuo cambiamento. Il prima e il dopo non devono contaminare la perfetta unicità dell’ora: d’altronde srotolare la pellicola dei giorni significa assistere alla decadenza e ad altri dolorosi mutamenti. In questo senso, la meditazione pittorica coincide con una meticolosa messa a fuoco del soggetto da ritrarre, che, sulla tela, deve diventare, pennellata dopo pennellata, sempre più aderente alla propria identità.  La plastica pienezza delle statue di Fidia – in cui riecheggia, nei ricordi del protagonista, l’esortazione más entero! del suo maestro d’accademia – esprime la freschezza incorrotta dell’esistente, in cui convergono la gioia di essere nato e l’entusiasmo di crescere. Una venere della classicità greca ha le forme rotonde della gemma, del boccio o del frutto, essendo carica di polpa viva, succosa e fertile; non ha l’aspetto duro, spento ed avvizzito dell’umanità michelangiolesca del Giudizio Universale, che raffigura solo le spoglie logore di ciò che è stato. Fermare l’attimo è un modo per scongiurare l’irreparabile e prevenire il momento dell’addio: è l’avanzare dell’età ad aumentare il valore dell’istante, rendendo infinitamente prezioso ciò che – come ormai si è appreso – non tornerà mai più. L’attenzione entra così a far parte dell’economia del quotidiano e, insieme alla precisione, diventa il requisito irrinunciabile delle opere che, sul limitare della vita, risultano necessariamente affacciate sull’eternità. Per questo motivo la lentezza è, paradossalmente, lo strumento indispensabile per avvantaggiarsi nella corsa contro l’avvicinarsi della fine. L’autunno, con la sua abbondanza di pioggia  e fango, induce il pittore ad abbandonare i colori, per concentrarsi unicamente sulle forme: la punta della matita  coglie, con sapiente parsimonia, i contorni essenziali dell’immagine, prima che essa, già affetta dagli ombrosi segni del declino, scompaia definitivamente. La finezza del tratto unisce sensibilità e rigore, in un compendio del vissuto che, attraverso il corpo ormai evanescente, arriva a mostrare in trasparenza l’anima. L’albero, tanto a lungo contemplato, sta per sfiorire  e per assumere l’aspetto invernale; così l’artista ne cattura l’ultimo tenue fremito vitale, l’estremo tremolante tratteggio di esistenza, armato di una reverenziale forma di nostalgia per quel prodigio naturale giunto ormai al tramonto.  La passione per ciò che è immortale è tutt’uno col rammarico per ciò che è passeggero: se la creatività dell’artigiano si traduce nell’industrioso impegno a trasformare e rinnovare la materia, quella dell’artista è, invece, l’accorato affanno a rendere perpetuo ed immutabile il fugace lampo di un’improvvisa ispirazione. Film premiato al Festival di Cannes nel 1992.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati