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Eden

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su Eden

di supadany
6 stelle

Meglio soli che male accompagnati è un proverbio che non passa mai di moda, valido in ogni frangente della convivenza, a partire da un semplice nucleo familiare, passando al tipico condominio (tra vicini di casa, può succedere di tutto), fino a planare su circonferenze più ampie, come possono essere una città o una nazione intera.

Alla base di una fuga fortemente desiderata, che si pone come obiettivo primario un isolamento totale dal resto dell’umanità, c’è comunque un problema insormontabile, grande come una casa, ovvero che - in ultima istanza - la scelta non spetta quasi mai esclusivamente al singolo individuo.

Infatti, anche quando sembra si sia fatto il massimo per separarsi definitivamente da tutto e da tutti, non si possono dormire sonni tranquilli e, in qualsiasi momento, elementi esterni possono mandare tutto in fumo, come accade in Eden.

Un film con una tesi e una dimostrazione fin troppo dichiarate/chiare, nel quale il risultato conseguito è nettamente inferiore all’invitante biglietto da visita, che poteva - giustamente - sventolare, tra temi solleticati/affrontati e un cast dotato di un enorme talento e altrettanto richiamo.

Rinnegando il sistema di valori in atto, nel 1929 il dottore Friedrich Ritter (Jude LawSherlock Holmes, Il talento di Mr. Ripley) fugge dalla Germania insieme alla compagna Dora Strauch (Vanessa KirbyThe Crown, Pieces of a woman), malata di sclerosi multipla, per stabilirsi a Floreana, un’isola disabitata delle Galápagos, dove può concentrarsi sulla realizzazione di un ambizioso trattato filosofico.

Proprio per colpa della fama conseguita nel frattempo, tre anni dopo vengono raggiunti da Heinz Wittmer (Daniel BrühlGood bye, Lenin!, Rush), la sua seconda, e giovane, moglie Margret (Sydney SweeneyEuphoria, Tutti tranne te) e il piccolo Harry (Jonathan TittelCrooks), che per via di una malattia ha un estremo bisogno di respirare aria di mare.

Nonostante gli ostacoli posti da Friedrich, la famiglia Wittmer riesce ad adeguarsi a una condizione di vita quantomai ostile, ma i già fragili equilibri precipitano una volte per tutte con l’arrivo della presunta baronessa Eloise (Ana de ArmasCena con delitto, Blonde) e dei suoi tre fidi seguaci, tra cui figura Robert (Toby WallaceBabyteeth, The Bikeriders), giunti sull’isola con l’incauto obiettivo di costruire un hotel di lusso.

Il clima si fa incandescente e, una volta arrivati a un punto di non ritorno, ognuno dei presenti dovrà rivedere drasticamente le proprie priorità, e pensare unicamente a se stesso, per non soccombere.

 

 

Jude Law, Vanessa Kirby

Eden (2024): Jude Law, Vanessa Kirby

 

 

Con Eden, sceneggiato a quattro mani con Noah Pink (Genius, Tetris), Ron Howard prende le distanze da tutto quanto realizzato nel corso della sua lunga e fortunata carriera, da quegli uomini che fanno la differenza sul campo (Apollo 13, Tredici vite), da una generale positività (Cocoon), dai personaggi da prima pagina (Rush) e anche dalle grandi produzioni hollywoodiane (Il codice da Vinci), comprese quelle pensate con un occhio in chiave Oscar (A beautiful mind).

Un salto della barricata che non lo ripaga – almeno non del tutto, come avrebbe sperato - per l’impegno profuso in un progetto coltivato da una quindicina d’anni, in cui incrocia varie forme di pensiero (l’intellettuale, l’uomo integerrimo/pratico, due donne che sanno combattere più di quanto i loro compagni immaginino, una terza abituata a utilizzare la sua bellezza per ottenere tutto ciò che vuole) all’interno di una landa inospitale, che Mathias Herndl (Wayward Pines, The Twilight Zone) immortala con una fotografia straniante, vivida e lunare.

Con un occhio proteso al nostro presente, sempre più incerto e sull’orlo del collasso, tra i postumi di un passato recente (la Prima Guerra Mondiale) e i germi sul punto di uscire allo scoperto (le basi per il disastro del nazismo), Eden predispone una specie di scena teatrale che snocciola aspirazioni dalle gambe corte e condotte che diventano gradualmente sempre più disdicevoli, una cartina tornasole che si fa largo tra smottamenti, che richiedono decisioni nette, e salvezze impossibili, posizioni di superiorità e pugnalate alle spalle, per un fazzoletto di terra che si trasforma in un ring senza esclusioni di colpi, sul quale il lume della ragione viene annientato da istinti animaleschi che scaturiscono da quei lati oscuri che abbiamo imparato a riconoscere ma non a limare/curare.

Una riflessione amara sulla natura umana e sulla crisi di una civiltà capace di predicare bene per poi razzolare male che, nonostante i molteplici scossoni, soffre di una progressione infine programmatica, che rischia di scivolare su delle bucce di banana e che, soprattutto in prossimità del capolinea, procede in maniera tanto frettolosa quanto sistematica, senza riuscire a sviscerare appieno i vari/singoli background, che finiscono per venire riassunti e schematizzati in breve.

Contestualmente, anche il notevole materiale umano a disposizione risulta depotenziato, valorizzato solo in minima parte. Se Daniel Bruhl sta al gioco senza eccellere, Jude Law deve forzare la mano in una parte indisponente e Ana de Armas corre costantemente il rischio di deragliare, mentre Vanessa Kirby si eleva per intensità, ma non ha in mano le cartucce necessarie per fare la differenza, così alla fine – nonché a sorpresa – è Sydney Sweeney a uscirne meglio di tutti gli altri colleghi, rilasciando le sensazioni migliori.

 

 

Sydney Sweeney

Eden (2024): Sydney Sweeney

 

 

Tutto sommato, Eden non compie l’impresa, imbrigliato com’è dalle tante forze che animano/strapazzano la sua (spiccia?) drammaturgia, sbanda in più casi ma nemmeno scivola via senza lasciare i segni del suo passaggio. Tra punti di forza e troppi contrasti da gestire/sviluppare/suggellare, pone domande interessanti/nobili (fino a che punto siamo disposti a spingerci per tutelare noi stessi?), ma rischia ripetutamente di andare fuori giri, tra un effetto domino piuttosto prevedibile/descrittivo e sbalzi d’umore che non dispongono del tempo necessario per essere riassorbiti.

Ricco di contributi ma anche troppo indirizzato/calcolato, sostanzialmente compiuto ma viaggiando con il pilota automatico inserito, quando il contesto avrebbe necessitato di più coraggio e maggiori approfondimenti.

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