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La bambola assassina

Regia di Tom Holland (II) vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La bambola assassina

di DeathCross
9 stelle

Ideato da Don Mancini ispirandosi al consumismo degli anni '80 e agli effetti del marketing sul pubblico infantile, il primo script a quanto pare doveva essere più cupo e ambiguo nell'identificare il killer. In seguito all'acquisizione del copione da parte della United Artist (divenuta, qualche anno prima, proprietà della MGM) questo viene passato a John Lafia, soprattutto per rendere più simpatetico il personaggio Andy e, una volta affidata la regia a Tom Holland, anch'egli opera delle modifiche venendo poi accreditato insieme agli altri due alla sceneggiatura. Il film ottiene un grande successo commerciale e anche la critica non lo accoglie male, così negli anni nasceranno sei sequel cinematografici (gli ultimi tre personalmente diretti da Mancini) e una serie televisiva già rinnovata per una seconda stagione. Per questioni di passaggio di diritti tutti questi derivati sono in mano alla Universal, ma la MGM li detiene per quanto riguarda il primo capitolo e per questo esiste anche un remake del 2019 sganciato dalla saga ufficiale.
Da me visto negli ultimi anni delle superiori (mi sa nel giorno finale dell'ultimo mio anno, escludendo gli esami di maturità), ricordo che mi piacque, anche se non quanto altri horror che in quel periodo stavo scoprendo e, recuperando i sequel, per diverso tempo gli preferii "Bride of Chucky" di Ronny Yu. Riguardandolo non solo confermo l'apprezzamento ma lo rafforzo, trovandolo particolarmente intelligente. Innanzitutto, non ricordavo che fossero serviti su un piatto d'argento spunti di critica al capitalismo, e non mi riferisco (sol)tanto al fatto che Chucky si incarna in una bambola prodotta in serie quanto ad alcuni passaggi nell'inizio: nella scena in cui si presenta Andy, infatti, vediamo l'atteggiamento subdolo con cui la pubblicità in tv ammicca ad un pubblico infantile per vendere i propri giocattoli costosi, e pochi minuti dopo vediamo come Karen, madre del bambino, sia sostanzialmente ricattata dal proprio datore di lavoro affinché sacrifichi la propria vita privata (nello specifico restare a casa per il compleanno del figlio) in favore della produttività, nonostante la collega e amica Maggie dia la propria disponibilità a sostituirla (ma, essendo del reparto scarpe, per questione di mera forma questo gesto le viene impedito). Comunque, la già citata scelta di Chucky di incarnarsi in una bambola seriale ha un potenziale politico, seppure nella storia ciò sia giustificato dalla casualità: Charles Lee Ray qui è, per me, il prodotto e lo specchio di una società fondata sull'accumulo di beni a discapito della propria essenza (anima) individuale, e non sono casuali le riprese di senzatetto, la cui miseria è inevitabile e indispensabile per il mantenimento dello status quo socio-economico.
Chiudendo il pippone politico, in "Child's Play" si possono trovare anche letture, se vogliamo esistenziali, su cosa renda un individuo tale (banalizzando un po' il concetto), vediamo rappresentata una concezione famigliare differente dall'idealizzazione tradizionale (madre single, seppure 'giustificata' dal suo essere vedova: saggiamente, inoltre, non si propone una storia d'amore tra Karen e il detective Mike, come invece certi cliché hollywoodiani, per qualsiasi genere filmico, decreterebbero), senza dimenticare il tema 'sempreverde' dell'incapacità delle persone adulte di provare realmente a capire gli individui bambini, ma di riflessioni forse se ne possono trovare molte altre ancora.
Anche senza affrontare eventuali sottotesti, "Child's Play" di Holland è un Gioiellino per la sua costruzione estetica: particolarmente impresso nella mente mi è rimasto il montaggio sonoro durante la sequenza di viaggio in treno di Andy e Chucky, con la musica sposata magnificamente ai rumori del mezzo, ma ottima è la Fotografia curata da Bill Butler in tutta la pellicola, stupendi gli effetti speciali della bambola antagonista, memorabile il Tema musicale finale di Joe Renzetti e grandioso tutto il cast, in particolare Catherine Hicks che sottolinea le difficoltà del suo personaggio, Karen: con questo non voglio sminuire l'eccellente lavoro operato da Chris Sarandon nei panni di Mike né quello soprattutto vocale di Brad Dourif, che qui inizia a dar vita ad un'autentica Icona Horror, ma Hicks è l'interprete che, nella sera della mia ultima visione, intendo valorizzare. Seppur con le difficoltà dell'età, anche Alex Vincent riesce ad essere convincente come Andy, soprattutto nelle intense scene finali.

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