Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
La storia di Sabina Spielrein, paziente psichiatrica che fece innamorare il suo medico curante, Carl Gustav Jung, e che abbandonata dall'uomo reagì diventando a sua volta psichiatra e contribuì con il suo lavoro allo studio della materia.
Una vita straordinaria a dir poco, quella di Sabina Spielrein, meritevole di essere trasportata sul grande schermo: non una, ma ben due volte nel giro di pochi anni, peraltro, poiché a questo Prendimi l'anima di Roberto Faenza farà seguito nel 2011 A dangerous method diretto da David Cronenberg, che tratta grossomodo la stessa storia. Sabina Spielrein, di buona famiglia ebrea, malata di mente e autolesionista: nessuna cura sembrava fare effetto sulla ragazza, finché Jung se ne occupò, conquistando rapidamente il suo cuore e venendone conquistato. La love story – deontologicamente discutibile, chiaramente anche all'epoca – viene qui raccontata con toni neppure troppo melensi e questo fa onore al copione (dello stesso Faenza); senza dubbio la vicenda viene comunque romanzata e abbellita qua e là, così come la cura estetica del lavoro pare degna di nota (la fotografia di Maurizio Calvesi va sottolineata). Del resto la pellicola batte triplice bandiera italo-franco-britannica e la produzione è ben dotata di mezzi; nel cast giustamente internazionale compaiono tra gli altri Emilia Fox, Iain Glen, Caroline Ducey, Jane Alexander, Craig Ferguson, Ivan Igogin, Viktor Sergachyov e Giovanni Lombardo Radice. Come collaboratori alla sceneggiatura sono accreditati, curiosamente, in sei: Elda Ferri, Gianni Arduini, Giampiero Rigosi, Hugh Fleetwood, Alessandro Defilippi e François Cohen-Seat. 5/10.
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