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So che mi ucciderai

Regia di David Miller vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su So che mi ucciderai

di ethan
8 stelle

 'Sudden Fear' o 'So che mi ucciderai', titolo ancora una volta che centra poco con l'originale - 'Paura improvvisa' - ma che ha una sua valenza, è un ambiguo e tesissimo noir diretto magistralmente da David Miller, regista poco celebrato, che creerà, su una storia simile, un meccanismo di suspence e tensione quasi altrettanto perfetto nel decennio successivo, con 'Merletto di mezzanotte'.

Il soggetto, tratto dal romanzo di Edna Sherry e sceneggiato a quattro mani da Lenore J. Coffee e Robert Smith (ma anche dalla Crawford non accreditata), è un archetipo del genere e rimanda a opere ben più famose, come 'La fiamma del peccato' di Billy Wilder, il nostro 'Ossessione' e alle varie versioni de 'Il postino suona sempre due volte', dove in un triangolo amoroso, due elementi cospirano per uccidere il terzo a scopo di denaro ma non tutto funziona come in base ai piani che, in un modo o nell'altro, sono destinati ineluttabilmente a fallire.

La commediografa Myra Hudson (Joan Crawford) ha inizialmente un diverbio con l'attore Lester Blaine (Jack Palance), che interpreta a teatro un testo da lei scritto, ma dopo un viaggio in treno, se ne innamora e finisce per sposarlo. In realtà l'uomo, in combutta con Irene Neves (Gloria Grahame), l'ha plagiata per poi - una volta uccisa, dopo che lei avrà fatto testamento a suo favore - prendere possesso della sua fortuna; ma, come sempre, nel noir, qualcosa non va per il verso giusto e la storia prende pieghe impreviste, con ribaltamenti della figura di cacciatori e preda, fino al sensazionale e tragico finale.

Miller crea una tensione palpabile e sempre crescente fin dalle prime scene ambientate a teatro, per poi continuare con il pezzo di bravura sul treno con il (falso) corteggiamento di Lester alla donna e al cuore del film nella casa di Myra a San Francisco, dove fa ricorso all'elemento sonoro (le registrazioni del dittafono) e alla reazione della protagonista ad esso: la donna è prima presa dallo sconforto per ciò che ha scoperto per passare poi al contrattacco. Tutto è mostrato tramite primi piani del suo volto, i cui occhi sono più espressivi di mille parole, e da qui in poi c'è un sopravvento delle immagini - supportate dalla fotografia in b/n contrastata di Charles Lang - con lo straordinario flash-forward, dove Myra 'vede' lo svolgersi del suo (ancor più diabolico) piano, succeduto dalla vicenda come in realtà avviene e poi il rocambolesco e concitato epilogo notturno, per le vie deserte di San Francisco, dove il caso (o il destino) producono un finale beffardo.

Grandiose le prove dei tre interpreti principali: la Crawford sfodera una grinta incredibile e ottiene la terza ed ultima candidatura agli Oscar della sua carriera, costruendo un ritratto di una donna che in un primo tempo viene circuita ma che poi, sentendosi tradita, passa al contrattacco trasformandosi da vittima in (potenziale) carnefice, ma compie delle esitazioni che potrebbero esserle fatali; Jack Palance, il cui ruolo di villain gli calza a pennello, ottiene anch'egli una nomination all'ambita statuetta (la seconda consecutiva, dopo quella in 'Shane', in una parte di cattivo); Gloria Grahame è anch'essa ben in parte in qualità di dark lady di turno e vero motore della vicenda. Candidature anche per la suddetta fotografia e i costumi di Sheila O'Brien, ma nessuna vittoria finale.

Un noir da riscoprire, che si distacca da altri classici proprio per questo ribaltamento dei ruoli e lo rende un film prezioso all'interno di un genere ricco di capolavori.

Voto: 8,5.

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