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Si salvi chi può (La vita)

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Si salvi chi può (La vita)

di callme Snake
8 stelle

Ritorno di Godard al cinema "narrativo" dopo il periodo di militanza sessantottino assieme a Jean-Pierre Gorin (fino a Tout Va Bien, del '72) e dopo l'altrettanto estremo ed antinarrativo periodo di sperimentazione video (di cui probabilmente l'esito migliore è Numéro Deux, semisconosciuto e crudissimo).
Preceduto da una "videosceneggiatura" (Scénario de "Sauve Qui Peut (La Vie)") che ne esplica parzialmente gli intenti dimostrandosi un'utilissima dichiarazione di poetica, Sauve Qui Peut (La Vie) continua a mostrare i processi che rendono possibile la significazione al cinema. Lo fa mediante un uso straniante e folle del rallenty e del sonoro, che disturba i dialoghi, vi si sovrappone, e poi scompare all'improvviso.
La stessa protagonista, in un bar, chiede alla cameriera cosa sia quella musica che lei sente, quando fino a poco prima l'unica musica percepibile dallo spettatore era quella apparentemente extradiegetica del film stesso.
Interferenze tra una parte e l'altra dello schermo, tra una parte e l'altra del film (One Plus OneNuméro Deux: gli stessi titoli sono esplicazioni di questa dialettica), tra una parte e l'altra del mondo (Pravda, Qui e Altrove, One P.M.): la sostanza non cambia e un'immagine è sempre e solo se stessa.
Una volta raggiunto il distacco necessario, lo spettatore vede la realtà, che è la realtà del mondo che lo circonda fatta film (senza mai ricorrere a canoni realisti).
La letteralità di Godard, fino al limite della tautologia (La Donna è Donna) è forse l'elemento che più disorienta un pubblico abituato a farsi ingannare dalle immagini.
Se l'ideologia è il prodotto e il riflesso della realtà di una società, il cinema non è il riflesso di questa realtà, ma la "realtà di quel riflesso" (Giorgio Gattei). Un film è la materializzazione dell'ideologia, lo è sempre, è un microcosmo in cui si verificano gli stessi processi in atto nella società che lo produce. Allora è necessario dichiararlo in quanto tale, scomporlo, mostrarne i processi: come un semiologo Godard ne svela le condizioni di esistenza e significazione.
Sauve Qui Peut (La Vie) è Vivre Sa Vie vent'anni dopo, in un mondo ancora più malato nell'immaginario e nella concretezza di un'esistenza determinata da ritmi che non le dovrebbero appartenere. Nella sequenza dell'orgia "sadiana" in ufficio il sesso è equiparato ad una catena di montaggio, proprio come il corpo in Numéro Deux era equiparato ad una fabbrica.
Urge quindi il bisogno di un paesaggio, di un posto che mantenga una sua spontaneità e che permetta all'uomo di ritrovare l'umanità perduta in qualche modo, tra un cartellino, una camera d'albergo, un compleanno, un film, un rapporto sessuale a pagamento. Ecco quindi ritornare e diventare protagonista (come in Pierrot Le Fou) la natura, ultima spiaggia in cui provare a salvarsi la vita. Chi può...
Ennesima grande ripartenza di un regista che continua a mettersi in gioco, anno dopo anno, mescolando le carte pur mantenendo salde le sue posizioni. Aspettando (in vano?) Socialisme...

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