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Aida degli alberi

Regia di Guido Manuli vedi scheda film

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George Smiley

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Aida degli alberi

di George Smiley
8 stelle

Incompreso all'uscita nelle sale, Aida degli alberi è un ottimo esempio di cinema d'animazione italiano ispirato all'Aida di Giuseppe Verdi, realizzato magnificamente e pieno di spunti interessanti e non mancherà di emozionare ed educare i più piccoli. Ancora oggi, una valida alternativa al cinema d'animazione americano.

SINOPSI

È in corso una guerra fra Petra, avanzata città di guerrieri e conquistatori e la mite Arborea, capitale di una civiltà che vive in simbiosi con la natura, nutrendosi dei frutti della madre terra. Il sovrano di Petra, Diaspron, vorrebbe però inaugurare un periodo di distensione fra le avverse fazioni, ma la scelta non piace al gran sacerdote Ramfis custode della verità tramandata dal bellicoso dio Satam e vero fomentatore del conflitto. Perciò il sacerdote ha in animo di far sposare il proprio inetto e goloso figlio Kak alla giovane principessa Amnèris, in modo da assicurarsi il futuro controllo di Petra con conseguente prosecuzione della guerra. Purtroppo per lui Amnèris è invece interessata all’aitante Radames, figlio del valoroso generale Moud, comandante delle milizie cittadine, che ha in Kak un buon amico. Inezie che certo non fermano il sacerdote: così, grazie ai poteri conferitigli dallo stesso Satam, Ramfis riesce a infiltrarsi nei sogni del re e a fargli credere che Amneris sia minacciata da un mostro che vive nella foresta controllata dagli arboriani. Pertanto viene subito approntata una spedizione di caccia volta alla distruzione della creatura e, sempre grazie all’intercessione di Ramfis, interprete della volontà divina, il comando della stessa viene affidato proprio a Radames. Il sacerdote comunque è della partita poiché intende assicurarsi che il giovane condottiero faccia una brutta fine: così lo lascia avventurarsi nelle foresta da solo, fiducioso che gli arboriani non lo lasceranno tornare indietro, dopodiché torna a Petra con la truppa, non prima di aver comperato un mostro simile a quello sognato dal re, da esibire come trofeo di caccia. Radames però riesce a salvarsi dai nemici arboriani e durante la vana ricerca del mostro conosce Aida, un’arboriana che si ritrova a lui legata dagli eventi. La ragazza lo segue fino a Petra, dove Radames chiede per lei la grazia: sedotto ancora una volta da Ramfis, il re le concede unicamente di servire sua figlia Amnèris mentre viene deciso un attacco massiccio contro gli arboriani, sempre guidato da Radames. Fra il giovane condottiero e Aida comunque è sbocciato un sentimento e così la ragazza attende con ansia il ritorno dell’amato, che avviene trionfale con un ricco stuolo di prigionieri: fra essi vi è anche il padre di Aida, nonché – all’insaputa di tutti – sovrano di Arborea. Con grande diplomazia Radames ottiene dal re la grazia per i prigionieri, che verrà comunque concessa loro nel giorno delle nozze fra il guerriero e Amnèris. Per Ramfis sembra dunque arrivata la sconfitta, ma al contempo nemmeno Radames è felice di sottostare a un matrimonio non desiderato che comporta anche la rinuncia di Aida. Ramfis sfrutta così la situazione a suo vantaggio e, quando Radames e Aida decidono di fuggire insieme ai prigionieri, ha l’occasione per accusarlo di tradimento, oltreché di oltraggio alla ripudiata sposa Amneris. A corollario del tragico volgere degli eventi viene anche scoperta la natura del sovrano di Arborea, il quale, riuscito a fuggire, ora certamente tornerà in forze, aumentando le colpe di Radames. Il re, convinto delle colpe del suo pupillo, decide pertanto di concedere Amneris a Kak, mentre l’esercito viene schierato per affrontare la battaglia definitiva. Alla fine, comunque, Aida, Radames e lo stesso Kak, dopo aver scoperto le losche trame di Ramfis, coalizzano le loro forze per sconfiggere il sacerdote e il crudele dio Satam. L’amore fra i due giovani sgretola la potenza dell’odio, condannando l’immonda divinità alla sconfitta e consegnando i due popoli di Arborea e Petra alla pace duratura. Ramfis invece si converte al bene abbandonando le sue mire di dominio.

ANALISI DELLA STRUTTURA

Aida degli alberi è un film-scommessa che nasce dalle matite dello studio torinese Lanterna Magica, già noto al pubblico per i lungometraggi di Enzo D’Alò (La freccia azzurra, La gabbianella e il gatto e il più recente Momo alla conquista del tempo). Rispetto a questi lavori, però, il film dimostra immediatamente una natura più ambiziosa, che trova attuazione in una storia di ampio respiro, con una certa modulazione di toni narrativi e, soprattutto, ambientazioni da kolossal americano d’epoca. L’aspetto visivo rappresenta, infatti, il punto più interessante e connotativo dell’opera, che in questo campo riesce a coniugare le influenze più disparate secondo una logica della mescolanza di elementi di grande impatto. La regia di Guido Manuli, cresciuto alla corte di Bruno Bozzetto, è il primo elemento degno di nota, poiché certamente al cartoonist va attribuita la responsabilità per il raffinato design dei personaggi, che alla morbidezza del tratto tondeggiante e “simpatico” tipico della scuola Bozzetto unisce una tendenza all’antropomorfismo tipicamente disneyano, pure rivisitato, però, in un’ottica fantasiosa e innovativa. Il “bestiario” di Aida degli alberi, infatti, è realmente interessante e inventivo, e comprende creature miste come, fra gli altri, uomini-leone (Radames), uomini-cobra (i soldati di Petra) e topi-scimmia (le cavalcature degli arboriani), e dona a tutti i protagonisti una sinuosità simile a quella dei rettili. Il mélange di queste influenze eterogenee produce così qualcosa di totalmente diverso dal modello “americaneggiante”, che possiede una originalità specifica, in grado di conferire al film un look accattivante. Parimenti l’uso dei colori è degno di nota, grazie ad una tavolozza ricca e ad un uso propedeutico alle dicotomie che tutta la storia mette in scena: il classico scontro Bene/Male trova infatti raffigurazione immediata nelle contrapposizioni fra l’urbana Petra e la boschiva arborea, fra la tecnologia della prima e la magia della seconda. Per questo Petra vede dominare colori scuri (il nero, con qualche sfumatura bluastra) o generalmente neutri, che uniti alla tendenza al gigantismo e all’uso sfrenato della Computer Grafica determina un look oppressivo e l’idea di una società verticistica. Viceversa ad Arborea dominano i colori vivi della natura e grazie alle tinte pastose valorizzate dalla bella fotografia, l’insieme assume una caratteristica magica e quasi onirica, che connota la terra di Aida come un posto affascinante e all’insegna del “sense of wonder” più fiabesco. Parimenti interessante è la raffigurazione delle scene di battaglia fra Petra e Arborea che, mediate dalla visione onirica di Aida, si traducono in una visualizzazione quasi ‘espressionista’, con impasti di luce e sovrapposizione di disegni che, da un lato restituiscono bene la foga crudele della battaglia, e dall’altro ne elidono l’esibizione di violenza. La regia, da par suo, sottolinea proprio questa contrapposizione di base: Petra è scandagliata mediante carrellate virtuali che definiscono lo spazio soprattutto lungo il piano architettonico verticale; viene così sottolineata la maestosità dei palazzi e i personaggi sono schiacciati sul fondo dell’inquadratura. L’uso della Computer Grafica, che esibisce se stessa secondo un’ambigua “manifestazione di potenza” inaugurata dalla Disney, finisce anche per soffocare l’immagine disegnata opprimendo ancor più lo spettatore, che viene atterrito in maniera diretta da Petra, e ha una percezione della città come di un luogo “gotico”, simile a un film horror d’annata. Dal canto suo Arborea, escludendo alcune carrellate ottiche finali, è indagata soprattutto nel particolare, senza restituire più di tanto la natura d’insieme di un regno che, comunque, non possiede una propria struttura forte come Petra, dal momento che cerca di integrarsi al bosco senza produrre danno alla natura, secondo una logica simbiotica e non parassitaria. Petra diviene così l’alfiere di un’espansionismo aggressivo, a fronte di un’Arborea primordiale (e non a caso gli abitanti sono definiti “selvaggi”), ma più sanamente naturista: sono le due facce di un possibile rapporto dell’uomo con il proprio mondo, in posizione di supremazia l’uno, di parità e reciproco rispetto l’altro. Da tutto questo si può evincere come Manuli e lo staff della Lanterna, pur partendo da una scansione dei ruoli e da una messa in scena ipertrofica, di matrice americana, riescono a possedere uno stile personale, che si ritrova in pieno anche in alcuni momenti clou, primi fra tutti quelli dei siparietti cantati. Se, infatti, la Disney pone in essere questi momenti attraverso una messa in scena dinamica e altamente coreografica, con molti elementi in campo e una durata sempre considerevole, in Aida queste parti – sempre molto brevi – appaiono stilizzate e pudiche, e si divertono principalmente a proporre giochi di luce (le rifrazioni dell’acqua quando Aida saluta il padre fuggiasco) o di luce (l’opulento tramonto che incornicia la partenza di Radames per la battaglia). Ancora una volta, cioè, si persegue un’ideale fiabesco e meraviglioso: fa eccezione parziale il più tradizionale numero che vede protagonista Kak insieme ad alcuni topi (che fungono da coro), dove il goffo figlio di Ramfis esalta la propria golosità, che fa rima con semplicità d’animo. Manuli così opta per una specificità del suo prodotto, un’italianità che si dimostra doppiamente atipica anche per la forte localizzazione dei talenti impiegati (la Lanterna Magica infatti è torinese, così come quasi tutti i doppiatori utilizzati), ma che non rinuncia all’ispirato commento musicale di un riconosciuto talento internazionale come Ennio Morricone. Come un arboriano, insomma, Manuli cerca la simbiosi con gli elementi più vicini, ma senza disperdere una visione d’insieme più ampia, che lo fa guardare lontano.

                                                                               

ELEMENTI PER LA DISCUSSIONE

Femminismo dell’opera

Il taglio che potremmo definire “femminista” di Aida degli alberi è abbastanza evidente, non solo per la centralità conferita sin dal titolo alla protagonista, ma anche e soprattutto per la scarsa considerazione che viene data ai personaggi maschili. Ramfis infatti è un palese cattivo, ma, complice anche il doppiaggio istrionico e un po’ macchiettistico di Massimo Lopez, non riesce a non produrre una blanda simpatia nello spettatore. Questi, infatti, seppure infastidito dalla sua meschinità, lo trova quasi divertente quando cerca di convincersi che l’inetto figlio Kak possa prendere il posto del sovrano per permettergli di governare Petra e proseguire la guerra. È insomma un personaggio negativo, ma al contempo “quasi-cattivo” e ricorda un po’ il Giovanni Senzaterra del disneyano Robin Hood, che alla gran cattiveria nel regnare abbinava un lato quasi infantile. Questa ironia di fondo, propedeutica a scardinare l’impatto altrimenti forte che il personaggio del cattivo potrebbe avere sul pubblico giovane, è utile anche a tratteggiare l’idea di un cattivo per nulla all’altezza del suo compito: nessuna grandiosità del Male, insomma, per un personaggio, che, non va dimenticato, è in fondo un servo del vero malvagio, il dio Satam, l’unico destinato alla disfatta finale. Il sovrano di Petra, invece, è un tipo apparentemente deciso e largo di vedute (vuole infatti pianificare una pace duratura con Arborea), ma di fatto è schiavo del suo sacerdote e dei dettami del dio Satam. Il suo potere è circostanziato e sottoposto a influenze esterne che ne limitano la grandiosità di comandante. Senza soffermarci su Kak, elemento comico e palesemente di scarsa personalità, la nostra carrellata si conclude infine con Radames, che però rappresenta anch’egli quanto di più lontano ci sia dall’eroe classico: non perché non possegga coraggio e spirito guerriero (figlio del comandante Moud, si rivela un eccellente condottiero), ma in fondo si tratta ancora una volta di una figura vittima degli eventi e delle macchinazioni di Ramfis, che lo spingono due volte ad allontanarsi da Petra per combattere un nemico che certamente non odia e/o conosce (il falso mostro prima, gli arboriani di cui chiede la grazia poi). Quando poi il re ne decreta la condanna a morte, suo padre fa appello alla sua verde età per chiederne la grazia, focalizzando così un elemento importante: l’impetuosità giovanile del guerriero che di fatto ne limita la portata eroica, amplificandone invece la “normalità”. Certamente più forte di tutti è il personaggio di Aida, che salva la vita a Radames, sa opporsi a lui con forza (durante il loro primo incontro/scontro lo ferisce con le sue unghie), se ne innamora e lo aiuta a liberarsi dalla condanna a morte agendo nell’ombra e combattendo infine contro gli stessi Ramfis e Satam. Un modello di eroina che, pur non rinunciando mai alla propria femminilità, sa anche lottare per i suoi ideali e che perciò costituisce un personaggio credibile, coerente e moderno. Difficile trovare paralleli immediati con le eroine disneyane, la cui ridefinizione è tutt'ora in corso: potremmo definirla una sintesi fra Pocahontas (di cui riprende la prestanza fisica o quantomeno il look “selvaggio”) e la dolce Belle che fronteggia la Bestia.

Odio fra le razze

L’argomento dell’odio razziale è quanto mai attuale (purtroppo), in virtù soprattutto di una imperante globalizzazione che di fatto va applicandosi in modo sempre più parziale all’economia del mondo. Sebbene la lettura “politica” possa risultare forzosa, è allettante vedere in Petra l’alfiere di un progresso rampante che vede in chi pratica soluzioni alternative un essere inferiore da inglobare e dominare. La diversità, sacrosanta e giusta, diviene così l’arma e il pretesto per il razzismo. Il film, in fondo, si propone come un vero e proprio discorso sul potere: Ramfis e Satam (che giudica molto brutta la parola “pace”) utilizzano infatti la magia nera per inibire le coscienze e perpetrare uno stato di non coesistenza fra i popoli, a vantaggio del loro potere temporale. Il rispetto reciproco e la capacità di costruire insieme, quindi, sono nocive a quel terrore e a quell’ignoranza nella quale trova terreno fertile l’egoismo razzista. La storia d’amore fra Aida e Radames, dunque, si pone come potente segnale d’allarme per le coscienze e come esempio di come la comunanza fra culture di diversa matrice possa rappresentare un arricchimento per entrambe. Non a caso, quando Aida salva Radames dall’annegamento, gli dà da mangiare delle erbe mediche che il guerriero pensa disgustose come le medicine di Petra e che invece si rivelano gustose. L’istinto dettato dall’ignoranza (intesa proprio nel suo significato letterale di “non conoscenza”) lo porta a compiere delle associazioni mentali elementari che la conoscenza può facilmente sgretolare mostrandone il pressappochismo. Così la storia, fortemente decontestualizzata, pur partendo dall’Aida di Verdi, rende merito ad un messaggio universale di speranza e pace. Interessante anche il fatto che alfieri di questa cultura non violenta siano i personaggi più giovani, come per l’appunto Aida, Radames, ma anche il buffo Kak: questi, infatti, del tutto alieno dalla cupidigia del padre, si pone istintivamente come amico di Radames, dimostrando come a volte la semplicità d’animo guidi istintivamente verso la scelta più giusta. Amnèris, invece, offusca un po’ questo quadro, ma la sua mente è ottenebrata dal desiderio verso Radames, che solletica il suo egoismo. La speranza e la forza utopica del testo è comunque chiara e guarda alle nuove generazioni come alle sole capaci di dare la giusta sterzata alla società evitando di ripetere gli errori degli adulti.

L’Aida di Verdi

Il film di Guido Manuli rappresenta una parafrasi dell’Aida, la celebre opera lirica di Giuseppe Verdi. Questa fu commissionata al compositore italiano (vissuto fra il 1813 e il 1901) dal Kedivé d’Egitto in occasione dell’inaugurazione del canale di Suez. La storia nasceva da uno spunto storico fornito dall’egittologo Mariette, completato e tradotto da Antonio Ghislanzoni. Il libretto dell’opera (divisa in quattro atti comprendenti in tutto un preludio e 18 pezzi) fu invece abbozzato da Camille du Locle. La prima si tenne al Cairo nel 1871, con un anno di ritardo rispetto all’inaugurazione del canale, mentre in Italia giunse nel 1872, al teatro milanese della Scala. Gli autori di Aida degli alberi hanno rispettato sostanzialmente la vicenda narrata nell’opera lirica, pur con le opportune compressioni narrative, evidenti soprattutto nella seconda parte. I nomi dei personaggi, poi, sono quelli originali, anche se cambia ovviamente il contesto: nell’opera la guerra coinvolge etiopi e egiziani; il cambiamento più sostanziale comunque riguarda il finale (nell’originale Aida e Radames non riescono a coronare il loro sogno d’amore e decidono di morire insieme). L’opera di Verdi comprende passaggi molto famosi, come la romanza “Ritorna vincitore” del primo atto e, prima di dare vita alla “sua” Aida, Manuli si era chiesto se riproporre, con opportuni cambiamenti e rielaborazioni, le musiche originali verdiane. L’ingresso di Ennio Morricone nel progetto – molto stimolato, a suo dire, dalla sfida rappresentata dalla composizione di musiche per un cartone animato – ha però portato a una partitura musicale che, senza cercare di tradire l’impianto epico dell’originale, ha preferito conferire al tutto un’impronta autonoma. A tal proposito Manuli ha affermato: «Aida è prima di tutto la magia scenica dell’opera, la forza della musica, la sua suggestione visiva, la sua atmosfera, il gusto della finzione. È stato molto facile capire che la chiave giusta per il nostro film poteva essere quella di un “fantasy”. Morricone si è incuriosito, si è appassionato al progetto e ci ha regalato temi musicali epici e struggenti, che esaltano la storia di Aida e Radames e l’esasperato colorismo delle ambientazioni. Il mondo di Arborea è diventato così uno spazio incantato, un universo in cui felicemente si smarrisce il protagonista». Sulla stessa linea il commento di Morricone: «Era una grande sfida. Ho cercato di proporne lo spirito trionfale, scrivendo una musica originale adeguata al film, senza mai tentare di riarrangiare gli spartiti di Verdi. Ho solo inserito un piccolissimo omaggio, un attimo dell’Aida originale, durante la sequenza dell’incubo disegnato da Manfredo Manfredi, verso la fine del brano propongo il tema di “Numi pietà del mio soffrir”, ma non credo che se ne accorgeranno in molti».

Aida degli alberi è quindi un film di animazione che come molti altri non ha avuto particolare fortuna al botteghino, vittima della sua stessa originalità e della concorrenza dettata dalle grandi produzioni americane, ma è tutt'ora un grande esempio di cinema di animazione all'italiana e un film da far riscoprire alle nuove generazioni con un occhio di riguardo per i più piccoli, i quali sicuramente lo apprezzeranno e lo troveranno originale ed educativo al tempo stesso.

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