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Manodrome

Regia di John Trengove vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su Manodrome

di Souther78
8 stelle

Solide scrittura, regia e recitazione danno vita a un dramma contemporaneo che rappresenta compiutamente e senza edulcorazioni il risultato del declino di valori e gruppi di riferimento: l'individuo, privato della famiglia e di ogni senso di appartenenza, non può che cercarlo nei posti sbagliati...

 
Il Taxi Driver dei giorni nostri è un autista di Uber, incarnato da un Jesse Eisenberg che, già esteticamente, si presenta assai più alienato di Robert De Niro. Lì seguivamo le peregrinazioni e le ansie di un individuo incapace di inquadrarsi in una società con ruoli e valori perfettamente definiti. Non è così in Manodrome, che delinea perfettamente non già la "crisi" di valori, ma direttamente il post, mostrandoci impietosamente una società distrutta e allo sbando, a partire dalla dissoluzione della famiglia, quale primo nucleo di riferimento e formazione dell'invidivuo. Ralph, che si presenta come Ralphie, è in fondo un bambino ferito, cresciuto allo sbando e incapace di trovare e trovarsi un senso. Non sono da meno tutti quelli che ruotano attorno a lui, brancolando nelle tenebre in cerca di un'appartenenza che possa legittimare il senso d'identità perduto. E' proprio così che si radunano tutti attorno al Manodrome, una setta rappresentata con il classico simbolo della piramide massonica. E, come nella massoneria, si sfruttano le debolezze, si offrono favori, si compiono riti, si instillano credenze e si fomenta divisione (uomini contro donne, in questo caso).
 
L'autore si addentra senza mezzi termini, e senza esitazioni, in ogni sfumatura del vuoto pneumatico esistenziale contemporaneo, mostrandoci genitori che non sanno o non vogliono fare i genitori, donne che non vogliono figli, mariti che non sanno costruire relazioni, e scelgono di scaricare le responsabilità sulle donne, uomini confusi sui ruoli sessuali, figli abbandonati, relegati in circoli viziosi destinati a reiterarsi all'infinito. E, in mezzo a tutta questa confusione, gruppi deviati e devianti, come la massoneria, hanno gioco facile nel reclutare proseliti a cui praticare il lavaggio del cervello.
 
Quella di Ralphie è una discesa agli inferi graduale, progressiva, altalenante, e che non sembrerebbe neppure inesorabile: in fondo, il destino di ciascuno è nelle sue mani. Solo, non è facile rendersene conto.
 
Per Travis c'era una redenzione, poichè il buono in lui era stato soltanto offuscato dalle esperienze drammatiche, ma non del tutto cancellato. Al contrario, Ralphie non ha affrontato nessun conflitto bellico: semplicemente, non ha valori cui ispirarsi o ritornare, ma solo una profonda crisi di identità irreversibile.
 
Ben presto le analogie tra il capolavoro di Scorsese e l'opera di Trengove sfumano, mentre i rispettivi protagonisti compiono scelte che vanno divaricandone i destini.
 
Denuncia sociale e di costume senza mezzi toni, che colpisce duramente allo stomaco dello spettatore: senza autoconsapevolezza, tutto diventa possibile. 
 
Anni luce dai ruoli che lo hanno reso celebre, Eisenberg qui sfoggia un personaggio quasi irriconoscibile, con un fisico palestrato e lo sguardo perennemente perso, nel riflesso di un sè evanescente e devastato. Gli si contrappone un Brody in gran forma, che, come di consueto, sa imporsi sulla scena senza eccessi nè sbavature.
 
La regia e la sceneggiatura si fanno apprezzare per scorrevolezza e coinvolgimento, e il risultato è un film pregevole sotto ogni profilo, che meriterebbe di essere discusso nei cineforum (bei tempi andati!).
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