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Gruppo di famiglia in un interno

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gruppo di famiglia in un interno

di logos
9 stelle

Opera complessa, sofferta, testamento personale, ma anche di una società al tramonto, le cui le ideologie, naturalmente quelle di destra ma anche quelle sensate di sinistra, deflagrano in personalismi isterici e senza via di uscita, che si ripiegano su di sé in una rappresentazione di morte dell’equilibrio tra la politica e la morale.

 

Un’opera dunque anche veggente per gli anni a venire, che ancora non finiscono ma si intensificano negli effetti che producono e riproducono. Proprio per questo un’opera che mantiene intatta la sua attualità, quasi che il tempo del nostro tempo sia sempre inchiodato alla schizofrenia di un mondo scivoloso, senza più classi, senza più coscienza collettiva, ma finalmente libero e spietato nel suo essere macchina sociale allargata del controllo.

 

E’ innanzitutto il ritratto di un professore stanco, che si sente vecchio, che ha chiuso con il mondo, che alle persone con le loro passioni corvine e gregarie preferisce il volo solitario dell’aquila, la cultura in sé e per sé, di cui è circondata la sua vasta casa, con interni ricoperti da quadri antichi e pareti di libri a non finire. Libri che per la loro voluminosità devono essere trasferiti all’appartamento di sopra.

Vediamo il professore in procinto di acquistare un quadro ma poi lascia perdere e cortesemente licenzia dalla sua dimora i rappresentanti della galleria. Ma è presente anche una donna, una certa Bianca Brumonti, intenta con assoluta determinazione a volere in affitto l’appartamento di sopra.  Il professore dice no, ma subito subentrano la figlia Lietta e il suo fidanzato, figlio di un industriale. Si tratta di ricchi borghesi e con un atteggiamento prepotente, basti solo vedere come la signora Bianca fumi in continuazione e butti via le cicche per terra, in casa e per le scale. E poi arriva Konrad, l’amante di Bianca. Insomma abbiamo un bel quadretto di famiglia trasversale: Brumonti con sua figlia Lietta e il suo fidanzato, nonché Konrad amante della Brumonti.

 

 

Cos’è che impedisce al professore di dire no a questa strana famiglia? Visconti mette in evidenza che con c’è una causa precisa riconoscibile, da cui il professore possa chiaramente difendersi. Sono micro sfasature che lo attraggono e lo respingono da questa famiglia, ma che via via si consolidano fino a legare il professore a queste persone, con alti e bassi, con ambivalenze sempre più complesse, ma che alla fine lo sopraffanno.

 

Intano Mietta e il suo fidanzato si ripresentano con il quadro che il professore aveva rifiutato, ma con forte titubanza, e proprio nel momento in cui viene a sapere che è stato venduto eccolo presente grazie all’avvedutezza di Mietta. L’avvocato del professore, inoltre, è favorevole a stilare il contratto d’affitto, anche perché si tratterebbe solo di un anno. Alla fine il nostro protagonista cede ma solo a questa condizione temporanea. In realtà l’appartamento di sopra è stato spacciato per acquistato dalla Brumonti al suo amante Konrad, il quale venendo a sapere che è in affitto, si sente ingannato. Da qui tutta una configurazione dinamica di rapporti tra la Brumonti e il suo amante, tra la figlia Lietta, il suo fidanzato e Konrad, tra Konrad e il professore, tra il professore e tutta questa specie di famiglia, oramai insediata al piano superiore, con i lavori di ristrutturazione dei bagni già intrapresi e con lo sfondamento di un muro che ha messo in pericolo la collezioni di quadri dell’appartamento di sotto dove abita il professore.

 

Eppure, nonostante questa vera e propria intrusione più che rumorosa il professore non riesce a dire di no. Lo lega innanzitutto la personalità di Konrad, il quale benché sia il mantenuto della Brumonti e vive di traffici illegali e di giochi d’azzardo, rivela una sensibilità spiccata per la musica, per la pittura. Racconta al professore, dopo essere stato picchiato da spacciatori, di aver cominciato l’università, di aver partecipato al movimento studentesco del ’68, ma poi di esserne uscito con viva delusione. Certamente si crea una forte affinità, perché per un motivo o per l’altro il professore e Konrad sono due uomini delusi da un mondo che non tiene più l’equilibrio tra la morale e la politica, ed entrambi hanno trovato il loro rifugio decadente, l’uno in una cultura espressamente chiusa a una prassi sempre più volgarizzante, l’altro propri in questa prassi destrutturandola dall’interno. Non è un caso che il professore assista con poco stupore, nella sua stessa casa, a un triangolo sessuale tra Konrad, Lietta e il suo ragazzo: sono giovani viziati, espressione della volgarità, e tuttavia Konrad lo fa con consapevole determinazione di destrutturazione, il che non può che strappare una tacita intesa del nostro protagonista. Un’ intesa forse soltanto sfiorante la coscienza, ma quel tanto che basta da indurre nel professore a un’introspezione che lo riporta a dei flashback di quando giovane vedeva il volto di sua madre, estenua protettrice dei partigiani… Ed è forse anche per questo che nonostante Konrad venga fermato dalla polizia, il professore non dice nulla al commissariato circa le conoscenze che ha nei confronti del giovane.

Però il vaso sembra essere colmo, il fatto di aver mentito alla polizia è per lui una cosa inaudita, si sfoga con la Bianca, con la figlia e il suo fidanzato. Oramai sembra che il legame si stia per spezzare, ma Lietta, ambigua e affettuosa come sempre, combina una sorta di riconciliazione nell’appartamento di sopra e il professore rilancia per una cena di conciliazione in casa propria.

 

La cena sembra essere la ricostituzione di una vera e propria famiglia, dopo che Konrad è stato sciolto da ogni indizio. Ma le cose non vanno per il verso giusto, anche perché è una famiglia attraversata da lotte viscerali. Non a caso Konrad è l’amante di Bianca ma al tempo stesso triangola con Lietta e il figlio dell’industriale. Inoltre Bianca in quest’occasione dice di aver rotto con suo marito, un altro ricco industriale esponente della destra. Immediatamente esplode un battibecco tra Bianca e Konrad. Konrad viene presentato dalla Bianca come un mantenuto, un sinistroide che sputa nel piatto dove mangia ma in realtà invece che essere un rivoluzionario non è altro che un trafficante e un delinquente; Konrad risponde per le rime, dicendole che il corteo di gente altolocata di cui si attornia è ancor più criminale, anche se le cose sporche che gli altolocati compiono si chiamano con altri nomi altisonanti; non a caso è proprio lui, Konrad, che ha denunciato il marito di Bianca per un tentativo di golpe.

 

Oramai le allusioni al mondo diventano nel film sempre più chiare: strategia della tensione, terrorismo, un umanesimo comunista ideale infranto per sempre, la necessità di punti di fuga da un sistema sempre più saturo di meschinità e sotterfugi. Punti di fuga che ancora incrociano Konrad e il professore: la fuga per il primo sarà nel suicidio per il secondo nell’attesa sconsolata della morte, ospite fedele di una casa che per quanto abbia resistito nel tempo è stata privata del suo proprio tempo storico, lasciando spazio a una modernità che ripete su se stessa le proprie ennesime velocità desertiche.  

 

Insomma, un’opera ricca, un manifesto di umanismo esistenziale e nichilista, che chiude i conti con l’illusione utopica, non perché l’utopia debba essere discreditata ma perché chi se ne serve, nell’attualità, finisce per crearsi alibi e fare il gioco della volgarità dei potenti. Opera complessa, manifesto doloroso e sofferto, ma anche coraggioso per gli anni ’70 italiani, in cui sembrava che i giochi, a sinistra, non fossero ancora chiusi.

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