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Il coraggio di Blanche

Regia di Valérie Donzelli vedi scheda film

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La recensione su Il coraggio di Blanche

di Gangs 87
8 stelle

Quando Blanche incontra Grégoire ha con lui un trasporto e un’alchimia che mai prima di allora l’avevano legata ad un uomo. Si convince così di aver trovato l’uomo della sua vita e in poco tempo, troppo poco tempo, resta incinta e lo sposa. Ma il furore dei primi tempi si trasforma in un rapporto malato e possessivo. Grégoire gradualmente allontanerà Blanche dai suoi affetti e dalla sua città, per condurla ad un’esistenza asfissiante e insoddisfacente.

 

L’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Eric Reinhardt per mano di Valérie Donzelli, sceneggiatrice e regista del film, è la messa in scena della discesa agli inferi di una donna che si abbandona alla speranza dell’amore e finisce per vivere un incubo interminabile.

 

E’ proprio Blanche a raccontare la sua storia. La sua vita semplice, fatta di piccole cose, circondata dall’affetto della sua famiglia, dal rapporto quasi simbiotico con la sua gemella, il suo incontro con Greg, questa passione trascinante e mai paga. Le sue difese che piano piano si attenuano, il suo sesto senso messo a tacere.

 

Poi la sua vita mutata, lontano da tutto e tutti, una prima gravidanza forzata poi una seconda, quasi imposta da Greg per riaffermare, semmai ce ne fosse bisogno, il suo predominio e la presenza costante di un uomo mai fisicamente violento ma sempre, in ogni circostanza, psicologicamente devastante. Come un tarlo che si insinua prima nel cuore e poi nella testa di Blanche, Grégoire è un parassita che abilmente costruisce una fitta trama di perbenismo e falso amore con cui tenta di tenere in piedi un matrimonio che vacilla.

 

Blanche ad un certo punto apre gli occhi e le vede; quelle crepe nella facciata di conformismo borghese che copre la cruda e amara realtà: lei è in trappola e non solo non sa come uscirne ma non sa nemmeno come ci è entrata.

 

L’ottima sceneggiatura della Donzelli, scritta a quattro mani con Audrey Diwan si rafforza attraverso l’utilizzo del simbolismo disseminato per tutta la visione. Dalle grate che proteggono il vetro della finestra, della casa dove si tiene la festa in cui Blanche incontra Grégoire, e di cui la donna sembra prigioniera, quasi ad indicare la sua sorte prossima, fino alla foresta che diventa strumento della presa di coscienza della protagonista e simbolo di libertà.

 

Anche l’utilizzo della fotografia è evidentemente calibrato per rappresentare i vari stadi di fragilità di Blanche; si gioca con toni e ombre ma anche con cromie invadenti, come il rosso da camera oscura che invade alcune sequenze rivelatorie o piuttosto la luce, la luminosità del giorno di cui Blanche sembra godere nei pochi momenti in cui è lontana da Grégoire.

 

In un crescendo di tensione e timore, il racconto di Blanche diventa una storia in cui non è mai difficile immedesimarsi. Merito dell’intensa interpretazione di Virginie Efira (nel doppio ruolo di Blanche e della sorella Rose) mai eccessiva, mai sopra le righe; nota di merito anche a Melvil Poupaud, il suo Grégoire è odioso e irritante, insopportabile e la sua prova attoriale è stata alquanto notevole.

 

Valérie Donzelli dirige un film intenso. Non utilizza mai la violenza esplicita eppure ferisce, provoca dolore e disgusto. Una pellicola che scava nel profondo lasciando solchi fatti di un vuoto incolmabile. Un film che diventa strumento di riflessione ma anche un monito verso gli inganni della mente e del cuore.

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