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Luce dei miei occhi

Regia di Giuseppe Piccioni vedi scheda film

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La recensione su Luce dei miei occhi

di FilmTv Rivista
4 stelle

Morgan sente di essersi allontanato troppo dalla Terra. È finito, davvero, fuori dal mondo. Ha perduto, per caso o per scelta, la rotta e, tra le stelle, i pianeti e le meteore, legge e pensa. Soprattutto guarda con tatto l’invasione degli ultracorpi infelici. Creature afflitte. Morgan è l’alter ego di un immaginario romanzo di fantascienza che prende la parola e la coscienza di Antonio (Luigi Lo Cascio), autista da due anni, arrivato in una Roma di strade e palazzi grigi, dopo studi brillanti e con una lenta retromarcia rispetto alle attese (degli altri) per un suo avvenire speciale. Incontra Maria (ha gli occhi tristi e gonfi di Sandra Ceccarelli), madre di una bambina, Lisa, padrona di un negozio di surgelati, squassata da una passione infelice, piena di debiti, appesa al telefonino come a un salvagente sgonfio, abituata a pensare a se stessa come a una nullità. Il nuovo universo, in cui è approdato Antonio/Morgan, avvolto dalle tenebre o appena rischiarato da una luce tra l’azzurro e il colore della cenere (la fotografia è di Arnaldo Catinari), è come sospeso. Privo di forza di gravità. Per questo la durata delle immagini è diluita, sfora, è in controtempo, il ralenti segmenta i movimenti (soprattutto dei volti e degli occhi in un film dominato e sovrastato dai primi e dai primissimi piani) e il racconto lascia fluttuare il pulviscolo atmosferico dell’incontro tra un uomo e una donna e il loro rattrappito riconoscersi, trovarsi, accettarsi e amarsi. Questo spaccato di un pianeta alieno è messo in scena ed evocato in punta di macchina da presa (con sequenze e un montaggio avvolgenti), con quella naturale non fluidità di qualcosa immerso in un liquido che scontorna e ammorbidisce la forma delle cose, delle parole e del cuore. Pochi personaggi (i viaggiatori, i clandestini, gli ospiti, gli intrusi) che hanno smesso di chiedere e guardare la luna e sono accomunati dalla non appartenenza (a stati d’animo e a stati di diritto), dallo spaesamento, dalla sfiducia, dalla deriva e dall’amore imperfetto. Il cinema di Giuseppe Piccioni non vuole e non sa essere allegro e gioioso, preferisce la malinconia, i mezzi toni, le sfumature, l’incompiutezza dei personaggi, la struttura e le atmosfere disforiche. Il film è trascinato (un moto a un non luogo che può emozionare o irritare lo spettatore) dallo smarrimento di Antonio e Maria e dalla loro non identificazione con un mondo, un destino. Un centro (nella vita dei protagonisti e nel cinema italiano) in cui fermarsi non esiste. E non ci sono neanche punti di arrivo.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 38 del 2001

Autore: Enrico Magrelli

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