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Diabolik - Ginko all'attacco!

Regia di Antonio Manetti, Marco Manetti vedi scheda film

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La recensione su Diabolik - Ginko all'attacco!

di Furetto60
5 stelle

Secondo capitolo della mini saga dedicata a "Diabolik" dai Manetti Bros, Così, così

Il primo film, dedicato al mitico personaggio Diabolik dai Manetti Bros, a mio avviso, deludente per trama, atmosfere, ritmo, riuscì solo ad accontentare una piccolissima fetta di irriducibili  fan del “re del terrore”, aderendo pedissequamente al fumetto che fu. I registi qui rifanno, in sostanza, gli stessi errori che avevano tributato il flop del precedente. Prosegue il gioco di rievocazione filologica del mito di Diabolik; il ritmo è meno ingessato e più pimpante e la confezione più elegante, ma il lavoro mantiene tutte le criticità del precedente. Ispirato liberamente all’albo 16 del 1964 delle sorelle Giussani, l’ispettore Ginko, sempre Mastandrea bravo, ma poco aderente al personaggio del fumetto, con un trucco, oggi risibile, rintraccia il covo di Diabolik da cui lo stana, privandolo momentaneamente di tutte le sue risorse e del bottino accumulato, ma il nostro ha sempre un asso nella manica. Compare in questo capitolo anche la bella Duchessa Altea, alias Monica Bellucci, nobildonna stravagante ed austera, che vive una relazione clandestina con il poliziotto, che però antepone, anche all’amore, la perseverante quanto vana caccia del criminale. L’ineffabile spietato malfattore, interpretato questa volta da Giacomo Giannotti, più calzante di Marinetti, deve dunque affrontare il solito ispettore, coadiuvato, come di prassi, dalla fedelissima e innamorata complice Eva Kant, alias Miriam Leone, ancora una volta in parte. Canzone d’apertura di Diodato, buone le musiche di Aldo e Pivio De Scalzi che adoperano lo stesso “sound” progressive rock dei Goblin. I titoli di testa, sovrascritti sopra la scena di un balletto “pop”, sono elegantemente confezionati, alla stregua di un “007”con l’immancabile e raffinato corredo di corpi femminili, che sinuosamente si muovono a costruire  coreografiche “figure”, tra i volti dei tre protagonisti del film, che scorrono in panoramica. Scenografia e costumi, come nel primo capitolo, efficaci nella ricostruzione di tutta l’iconografia, che connota il fumetto, in più qui c’è tutto l’armamentario che ha fatto felici milioni di lettori: l’attrezzo per cucire le maschere, le botole, i passaggi segreti, occultati dalle frasche, il rifugio zeppo di marchingegni e trappole, l’iconica Jaguar, perfino il “look” dei tre protagonisti; il montaggio, con un ampio uso di split screen e di zoom improvvisi, è in linea con l’atmosfera retrò del film; anche i pugnali spietatamente scagliati da lontano con precisione chirurgica, per uccidere sul colpo, chiunque, nemico o solo occasionale ostacolo, si frapponesse tra lui e l'obiettivo prefisso,questa "crudeltà" è parte del mito del “re del terrore”, che nei primi numeri, non mostrava alcun riguardo per la vita umana.Tuttavia, anche se migliore del primo capitolo, questo prodotto cinematografico funziona poco, i due Manetti non cambiano registro, restando fedeli ad uno stile narrativo anni ’60, scivolando in una superficiale caratterizzazione dei personaggi; sia Giannotti che Miriam Leone, si perdono dentro dialoghi ”da carta stampata” piatti e incolori , privi di guizzi ironici. Il film è sfarzoso, ma fiacco, poco spontaneo, lento, freddo, poco appassionante, per giunta il finale è più che prevedibile, se si è un minimo addentro alla struttura narrativa della storica serie “gialla”. Se da un lato è comprensibile la volontà di rimanere ancorati al rodato stile di scrittura dell’originario fumetto, che da sei decenni è garanzia di successo tra i numerosissimi seguaci, dall’altro osare un’attualizzazione, sarebbe risultata operazione più interessante, senza arrivare a snaturare il personaggio, ma restituendo una storia più originale e vivace.

 

 

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