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Maestro

Regia di Bradley Cooper vedi scheda film

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La recensione su Maestro

di EightAndHalf
6 stelle

Agli occhi di Bradley Cooper la storia di Leonard Bernstein è una delle grandi storie d’amore del Novecento. E ne ha ben donde: è una storia d’amore che travalica i confini ben netti che tipicamente riconosceremmo per una coppia eterosessuale che negli anni trenta decide di sposarsi e creare una famiglia. Lei, Felicia, origini cilene e aspirazioni di attrice, e lui, Lenny, direttore d’orchestra in via di affermazione e omosessuale. Il film e i suoi eroi sono troppo pieni d’amore perché l’orientamento di lui costituisca un problema, loro sono fatti l’uno per l’altra e la loro intesa è impareggiabile - anche rispetto al rapporto di Lenny con gli uomini, spesso unicamente dettato da attrazione fisica, interesse intellettuale e poco altro che assomigli a un lungo termine. La storia va avanti così per tutto il matrimonio di Lenny e Felicia, e va avanti serenamente alla luce del sole, con i suoi alti e bassi e le sue contraddizioni rispetto a tradimenti, impegni di lavoro, figli, almeno finché tra gli Anni Sessanta e gli Anni Settanta alcuni nodi vengono al pettine, e Felicia comincia a sentirsi abbandonata.

Cooper è fin troppo cosciente che già così la storia di Bernstein sia una bella storia, abbastanza bella da non sforzarsi più di così nel trovarci peculiarità di sorta che la distinguano da qualsiasi altra storia riguardi una coppia eterosessuale in cui però il lui della coppia semplicemente è gay. Di storie del genere è pieno il Novecento, purché meno frequente sia la tuttora impressionante larghezza di vedute del mondo del film - che risulta estremamente ammirevole fintantoché entrambe le parti la vivano con parsimonia. Solo che intanto è la storia di uno dei più grandi e iconici direttori d’orchestra del Novecento, e impressiona quantomeno che la musica intervenga nella sua vita privata (indubbiamente il centro drammatico e analitico di questo Maestro) solo in termini di impegni di lavoro e di generico “amore per la bellezza”, e quindi per tutte le cose e le persone. Una visione che lecitamente può apparire naif anche a fronte di uno smalto formale e tecnico invidiabile, che ha qualcosa da dire anche su come girare i melodrammi in un mainstream statunitense contemporaneo che un po’ snobba il genere un po’ lo carica di smielate ramificazioni. Per esempio, in certi dialoghi tenuti a distanza (per chi lo guarderà: attenti a Snoopy!) e nella singola lunga scena di conduzione d’orchestra nella chiesa.

Forse è un’utopia - o forse no, vedasi Bird di Clint Eastwood - ma un biopic di un musicista in cui la musica abbia un ruolo attivo nella sua vita privata sarebbe ben più desiderabile. Tanto più che in Maestro esistono dei cenni più tecnici di maggiore interesse, come il confronto fra musica alta e musica bassa, per esempio - anche se sfiderei chiunque nel 2023 a definire bassa la musica per Broadway o il prologo di West Side Story. Ma è tutto contingentato al vezzo, e la musica è solo un personaggio che guarda da lontano.

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