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Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Regia di James Mangold vedi scheda film

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Dario1966

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La recensione su Indiana Jones e il Quadrante del Destino

di Dario1966
8 stelle

Un filmone di avventura imperfetto, ma che emozionerà i fan invecchiati con il personaggio. Bravi tutti, Harrison Ford ammirevole. Il cerchio si è chiuso, speriamo ci risparmino i sequel.

Ce lo avessero detto in quel 1981, non ci avrebbe creduto nessuno. Quarantadue anni dopo, Harrison Ford è tornato in sella (ma anche al volante, al timone, alla cloche) a 81 anni compiuti per girare il quinto episodio della saga e chiudere così il cerchio della sua avventura personale, e anche di quella del personaggio, si spera. L’episodio ruota intorno a un misterioso marchingegno ripescato molti anni fa in fondo al mare greco e attribuito ad Archimede, e fin qui siamo su un terreno storico accertato, per quanto poco conosciuto; qualcuno attribuisce a quell’arnese virtù da macchina del tempo, e qui la fantasia degli autori va per conto suo. Dopo Einstein il viaggio nel tempo non è più un tabù, per cui basta qualche vaga spiegazione pseudoscientifica per suggerire allo spettatore che, sì, vi chiediamo di fare finta di crederci, ma insomma, magari qualcosa di vero c’è… Ma alla fine chissene dell’Antikytera, è solo un pretesto come un altro per farci salire sulla giostra. O forse no. Non mi sono documentato sulla genesi del film, ma forse la scelta del Sacro Graal di turno è stata più meditata di quanto crediamo, perchè il viaggio nel tempo è davvero il tema centrale dell’opera. Altri vi parleranno degli effetti speciali, di quanto sarebbe stato meglio avere Spielberg alla regia, della bravura di tutto il cast, ma io voglio parlarvi di altro. Questo film ha smosso qualcosa dentro di me, e penso dentro tutti quelli che hanno seguito fedelmente la saga (diciamo il pubblico dai 50 ai 60, ma anche persone più mature) qualcosa che ho messo a fuoco solo dopo un po’. Si parla del viaggio del professor Jones, che da gagliardo quarantenne sulle tracce dell’Arca è arrivato all’età della pensione, alla separazione dalla moglie, circondato da un mondo che non capisce più (siamo nel fatidico 1969), e che sembra non capire lui (una della battute più belle del film, quella dello scienziato nazi, il bravissimo Mads Mikkelsen: professore, vuole donare quell’oggetto a un mondo che non capisce quelli come noi?). L’incontro con la figlioccia Helena, archeologa virata sul furfantesco, lo spinge a rituffarsi nella mischia. Ma è anche il viaggio dell’attore che lo impersona. Non ho mai considerato Harrison Ford un grande attore, penso che abbia avuto le occasioni migliori negli anni 80, per poi vivere sostanzialmente di rendita aggrappandosi all’esperienza più che al talento. Ma come si fa a non voler bene a quest’uomo, che a 80 anni corre, galoppa a cavallo, mena come un fabbro, fulmina con un’occhiata tutti quelli che non gli vanno a genio (più o meno il 95% del creato, animali compresi); certo, ci sono le controfigure, ci sono gli effetti speciali, ma bisognerebbe essere ciechi e sordi per non vedere che sta dando il massimo, muscoli e arte, per fermare quel maledetto tempo, per rassicurarci: sono sempre io, tranquilli, ho qualche acciacco ma con un aiutino ce la faccio ancora. E c’è il tempo di noi comuni mortali, invecchiati con lui, film dopo film, che su quella poltroncina di tessuto abbiamo giurato da ragazzi che un giorno l’avremmo cercata anche noi l’Arca dell’Alleanza. Sono passati 42 anni, l’arca non l’abbiamo trovata, molti di noi non ci sono più, ma è stata una gioia essere lì, ad assistere alla chiusura del cerchio, a quell’ultima scena che vale il prezzo del biglietto. Non mi faccio illusioni, troveranno il modo di proseguire la saga, con altri attori: quando ti aspetti il peggio da Hollywood, non ti deludono mai. Li prenderei a frustate.

 

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