Regia di Martin McDonagh vedi scheda film
Martin McDonagh si conferma ancora una volta maestro indiscusso nel realizzare grandissimo cinema di stampo 'tradizionale'. Per l'occasione vi riesce partendo da un soggetto apparentemente insignificante, il che rappresenta un enorme merito aggiunto. VOTO: 9½
Credo di poter affermare senza rischiare di dire una colossale baggianata che Martin McDonagh è uno degli ultimi cineasti capace di scrivere e dirigere film tradizionali nelle forme e avvincenti nei contenuti. O, detto con maggior precisione, è uno dei pochissimi della sua generazione a possederlo tale talento. “The Banshees of Inisherin”, al pari delle sue tre opere precedenti, è un signor film, e il merito è in questo caso ancor maggiore quando si pensa che l'oggetto del contendere, il fulcro dell'opera, è qualcosa praticamente intangibile come, riassunto in parole poverissime, un uomo che vuol essere lasciato in pace. In questo siamo più dalle parti del minimalismo di “In Bruges”, opera interpretata guarda caso dalla stessa coppia di attori, che non da quelle del più recente “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” dove invece il racconto era orchestrato intorno ad eventi oggettivamente drammatici. A parte ciò, quel che purtroppo unisce questi grandi film è l'essere nati nella Hollywood del periodo 'sbagliato', un periodo cioè politicamente corretto fino al midollo e che perciò preferisce -nell'assegnare gli Oscar- cose come “The Shape of Water” o “Everything, Everywhere, All at Once” al solido cinema di McDonagh. Ma, ok, non è giusto ma ce ne faremo una ragione. Quel che resta fuor di dubbio è che questo suo ultimo lavoro lo conferma come maestro assoluto nella black comedy, con un film dalle mille sfaccettature, poliedrico e capace di alternare costantemente il registro drammatico a quello grottesco e a quello comico. Molto bravi gli interpreti, ben quattro dei quali (Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon e Barry Keoghan) candidati all'ambita statuina, e non meno riuscita la rappresentazione dell'Irlanda rurale degli anni '20 del secolo XX, anche grazie all'eccellente fotografia firmata Ben Davis. Nel complesso, un film assolutamente da non perdere.
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