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TÁR

Regia di Todd Field vedi scheda film

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La recensione su TÁR

di EightAndHalf
8 stelle

“Schopenauer credeva che l’intelligenza si misuri con la “sensibilità ai rumori””

“Schopenauer è lo stesso che ha gettato una donna dalle scale e poi è stato denunciato”

“È da dimostrare se questo abbia avuto un qualche ruolo nella sua opera”.

Sì, ma come lo dimostriamo? Il peso etico di un comportamento su un’opera d’arte, cos’è? 

Tár, Lydia di nome, conduttrice d’orchestra alla Philarmonaker di Berlino e professoressa alla Julliard, compagna del primo violino della Philarmoniker, madre di Petra e allieva di Bernstein, scopre che una sua collega più giovane si è suicidata. Forse è proprio Lydia ad averle rovinato la carriera, scoraggiando le più grandi orchestre del mondo dall’assumerla? 

Tár di Todd Field si muove su diversi frangenti. È prima di tutto un esemplare di lucidità sul dibattito annoso dell’etica nell’arte, con alcuni degli scambi cinematografici più interessanti e problematici della nostra epoca sull’argomento (soprattutto nell’invisibile pianosequenza della lezione con l’alliev* non-binary); è lucido nel tratteggiare i personaggi che fanno questi discorsi, non arroccandoli su nessun podio qualunquista ma ragionando sulle loro motivazioni anche personali (in particolare di Tár, che è piena di dubbi ma pubblicamente è irremovibile); è lucido nei lunghi intermezzi di conduzione d’orchestra, in cui costruisce coreografie di musiche e parole (alternando inglese e tedesco), cercando la sinfonia in un cambio sopraffino di inquadrature; è anche una piccola ronde melodrammatica, con un risvolto crudele che denuda Tár intrappolandola nello schermo di uno smartphone; è, immancabilmente, anche un grandissimo esercizio di regia, e di generazione del perturbante. Tutto il film è edificato su incrinature e piccole crepe, che debilitano quell’equilibrio di estro e menzogna che è la vita di Lydia; e in particolare la sua sensibilità al rumore, che giustifica tantissime sequenze altrimenti filler, in cui in casa Lydia sente dei rumori e ci costruisce suoni o frustrazioni, li cerca forse ma preferisce lasciarli misteri. Non rispondere ai rumori: non come Bach, che secondo Lydia costruisce la sua musica su domande e risposte. Lei chiama questa cosa umiltà, l’umiltà di Bach; lei forse pensa di essere umile altrettanto a non dare risposte ai rumori che sente? O forse è una vigliacca? 

Senza darlo a vedere, in effetti, Tár è soprattutto questo: Lydia può sentire un urlo, un clacson, uno scampanellio, un ringhio, il silenzio, e non sa mai cosa proverà; Lydia sa professionalmente che non può controllare i suoni e i rumori, ma in fondo trova la cosa inaccettabile, tanto quanto sono inaccettabili quasi sempre le soluzioni di questi misteri chiamati rumori. Tár, il film, è imprendibile come questa materia acustica che muove Lydia fra un evento e un altro, e la camera, segugia, è davvero uno dei lavori di regia più carismatici dell’anno, elegante ma discreta, in qualche modo anche subdola, irrimediabilmente ironica, con posizioni e tagli imperniati sulla maestosità della musica di Mahler ma negando la possibilità di alcuna catarsi, concedendo al massimo singulti. 

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