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Un jeu brutal

Regia di Jean-Claude Brisseau vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un jeu brutal

di yume
8 stelle

locandina

Un jeu brutal (1983): locandina

“Ascoltami, ho preso il caso dei bambini perché tutto fosse più evidente.Di tutte le altre lacrime dell’umanità, delle quali è imbevuta la terra intera, dalla crosta fino al centro, non dirò nemmeno una parola, ho ristretto di proposito l’ambito della mia discussione.

F. Dostoievski, I fratelli Karamazov

 

Bruno Cremer, Emmanuelle Debever

Un jeu brutal (1983): Bruno Cremer, Emmanuelle Debever

Una violenza omicida nella sequenza di apertura.

Fa parte dell’ossimoro del titolo.

Un uomo spia i movimenti di una bambina di 12 anni, la sgozza mentre la piccola prende il sole su un prato, vediamo solo una mano sanguinante tesa in alto dietro un cespuglio.

Lungo il film altre vittime giovanissime subiranno la stessa sorte, ma Brisseau non concede nulla al voyeurismo, quei delitti sembrano suggeriti, entrano nello schema di un thriller ma ne escono subito per entrare in una specie di racconto biblico dove la violenza è voluta da un Dio perverso che arma la mano di Abramo.

In realtà Brisseau parla un percorso molto umano, e la storia di Tessier padre (Bruno Cremer) e di Isabelle figlia (Emmanuelle Debever ) è un exemplum, un modello su cui meditare.

Bruno Cremer, Emmanuelle Debever

Un jeu brutal (1983): Bruno Cremer, Emmanuelle Debever

Famiglia disfunzionale, la madre adultera sparita chissà dove e da quando; il padre, scienziato e ricercatore famoso dell’Istituto Pasteur di Parigi, dedito a lavoro e carriera a tempo pieno, ha abbandonato da poco il lavoro perché si sentiva spiato da non sappiamo quali oscuri nemici; la figlia adolescente, Isabelle, carina, bionda, paraplegica fin dalla nascita, è affidata ad un collegio prima e poi alla servitù.

L’ossimoro del titolo comincia a chiarirsi. La brutalità e il gioco, molto evidente la prima, sotteso, nascosto, non quello che ci aspetteremmo il secondo.

Dov’è il gioco?

Scorre per tutto il film una vena glaciale, si pensa ad Haneke, nonostante l’ambientazione solare, e il gioco si scopre, è la condizione dell’uomo scagliato sulla terra. “E adesso gioca!” ha detto forse qualcuno.

La buona nonna pietosa e morente raccomanda al figlio di prendersi cura di Isabelle che quasi non lo conosce.

L’angelica Isabelle è in realtà un piccolo diavolo selvaggio che odia il mondo intero, ha fantasie da terrorista, gode nell’ammazzare animaletti sdraiata sul bordo del fiume dove un bel giorno rischierà di annegare perché si è sporta troppo in avanti col suo bastone.

Il quadro idilliaco in cui tutto si svolge fra i magnifici colori e gli angoli di sogno di quel pezzo di Paradiso che è il Midi della Francia, è ben presto alterato da due situazioni nuove.

 

Bruno Cremer

Un jeu brutal (1983): Bruno Cremer

La prima riguarda lui, Tessier, che sappiamo fin dall’inizio essere l’omicida. L’uomo arriva nella casa di campagna per occuparsi della figlia, fedele alla promessa fatta alla madre sul letto di morte.

E’ importante far posto a brani di dialogo che nello script segnano svolte cruciali e richiamano attenzione al senso profondo della storia.

La nonna è nella bara, la governante chiede al figlio con valigia se non parteciperà alle esequie.

Risposta:

A che scopo? La guardi, ormai non è altro che un oggetto, una cosa, come una pietra. Allora a cosa servono tutte queste sciocchezze?

Una volta nella casa di famiglia a Saulières, Tessier mette in atto un programma educativo di una durezza così intollerabile da sembrare il gioco di un pazzo. Ma non è il gioco di un pazzo. In realtà è tutto molto normale, Tessier è il padre biblico che agisce in nome di Dio, Isabelle è un piccolo diavolo che va educato.

Che lui si senta investito di una missione salvifica risulta chiaro dai discorsi che fa alla figlia sul giusto e l’ingiusto, il bene e il male, la catena logica della natura che risponde all’ordine che Dio ha stabilito.

Si tratta di liberarsi dalle catene che ci costringono nell’ignoranza,  “allora il mondo apparirà in tutto il suo splendore” e Isabelle imparerà a non inorridire se il serpente che le ha regalato ha mangiato la rana.

Tessier scrive un decalogo di disciplina ferrea per la figlia e ne tappezza la casa, ordina di frustarla e non darle cibo se non obbedirà:

E’ necessario essere duri e crudeli quanto le forze del male per sconfiggerle” dice al fedele e buon assistente e alla istitutrice, unici esseri umani in tanta devastazione. Quindi ripartirà per la sua missione, riportare l’ordine, punire i ragazzi che un giorno gli hanno fatto danni entrando nel suo laboratorio.

Bruno Cremer

Un jeu brutal (1983): Bruno Cremer

Isabelle è handicappata, vive con tutori alle gambe e si muove con bastoni e sedia a rotelle. E’ il gioco spietato della natura, fa parte del programma di selezione della specie, inutile odiare, piangersi addosso e quant’altro. Bisogna risollevarsi e farcela da soli.

Lui è lui e io sono io! “ è la risposta di Isabelle al padre che le chiede perché torturi dei poveri insetti.

Isabella conosce solo la distanza dagli altri, si potrebbe attribuire la cosa alla mancanza dei genitori, ma non ci si può fermare qui.

La sua vita appartiene all’ordine naturale del mondo privo di una legge, senza un principio ordinatore nè un concetto etico.

Il padre, assassino seriale asettico e assolutamente padrone di sè, è coerente e porta alle estreme conseguenze la legge di natura secondo cui il forte schiaccia il debole. Le sue vittime sono bambini su cui ha facilmente la meglio, li afferra sotto il braccio come marionette sgangherate, né più né meno di quanto farà con la figlia ribelle messa in riga dopo l’ennesimo “Vaffa’ bastardo” nei suoi riguardi.

Perché faccia questo non sappiamo, facile parlare di schizofrenia, comportamento deviato, bipolarismo; è un film non un trattato di psicanalisi, diciamo che la scelta di Brisseau appartieneal campo dell’arte dove, diceva un antico sofista, “la tragedia è un inganno in cui è più saggio chi si lascia ingannare”.

Emmanuelle Debever

Un jeu brutal (1983): Emmanuelle Debever

Arriviamo così al secondo movimento, la situazione nuova numero due.

Isabelle ha una istitutrice ingaggiata dal padre. Donna seria e colta, pratica di ristrutturazione cognitiva e apprendimento mediato, sa come prendere la ribelle..

E la introduce alla conoscenza della natura e dell’arte.

Prévert e Baudelaire, per cominciare, cosa significa questo verso? Su cosa si fonda quell’emozione? Quali sono i rumori che senti intorno a te quando chiudi gli occhi?

Il rapporto con la donna è importante, con lei Isabelle scopre cos’è la musica secondo Baudelaire, una sofferenza che nello stesso tempo viene alleviata, “cullata”:

“ … Petto in avanti e polmoni gonfi come vela scalo la cresta
dei flutti accavallati che la notte mi nasconde;
sento vibrare in me tutte le passioni d'un vascello che dolora,
il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi
sull'immenso abisso mi cullano”

Emmanuelle Debever, Lucien Plazanet

Un jeu brutal (1983): Emmanuelle Debever, Lucien Plazanet

La donna ha un fratello giovane e bello che passava di là mentre Isabelle stava annegando e l’ha salvata.

E’ l’amore, è toccare con la mano la pelle di un altro, è quello che Isabelle non aveva mai immaginato, il gioco leggero.

Emmanuelle Debever

Un jeu brutal (1983): Emmanuelle Debever

Ma poichè nulla somiglia meno ad una favola della vita reale, e poiché il film gioca sui contrasti netti, il calore del sole estivo e delle verdi acque e il buio delle stanze paterne, la violenza del padre, il disagio della figlia, la dolcezza dell’istitutrice, la sensuale carnalità del giovane fratello, amore e dolore, amore e odio, amore e disinganno si danno il cambio.

Come sempre l’amore tira il primo colpo, ma la risposta giusta è quella dell’arte.

Qualcosa di nuovo dunque accade, dopo lunga maturazione, ed è la consapevolezza, che può essere la morte, per il padre, finalmente rientrato in sé anche se all’ultimo istante, o l’accettazione della sua condizione per Isabelle, la bellezza di perdersi di fronte al grande spettacolo del sole morente dietro le cime delle Alpi di Provenza, mentre la cantata 198 di Bach,Lass Fürstin, lass noch einen Strahl (O Altissimo, lascia che il raggio della speranza), BWV 198, chiude la scena.

 Laß, Fürstin, lass noch einen Strahl
Aus Salems Sterngewölben schießen.
Und sich, mit wieviel Tränengüssen
Umringen wir dein Ehrenmal.

… Lascia, Principessa, che discenda ancora un raggio
Dalla volta stellata di Gerusalemme
E guarda con quanti fiotti di lacrime
Noi circondiamo il tuo monumento…

https://www.youtube.com/watch?v=DTPRzSV-zZg&t=342s

È così che due esseri umani, soli nel deserto del mondo, in preda alle forze malvage del caos primigenio, trovano la pace, nella morte l’uno,  nell’accettazione di sé e dunque nella solitudine l’altra.

La serena spiritualità della musica bachiana è il viatico di un film che centellina la musica con leggeri fraseggi di piano o cupi accordi di violoncello, correnti carsiche della colonna sonora di Jean-Louis Valero.

Alla fine, però, lascia che si espanda libera.

Il gioco contrappuntistico della cantata è la risposta dell’arte al dominio della materia. E’un canto funebre, si celebrava a Lipsia il rito per la morte della principessa  Christiane Eberhardine di Sassonia, un testo musicale di grandioso respiro e dolcezza infinita.

Isabelle guarda il tramonto ripresa di spalle sullo sperone roccioso, è salita da sola.

Opera importante nella filmografia di Brisseau, autore peraltro sempre poco incline a stare alle regole dello star sistem e negli ultimi anni vessato come pochi dalle suffragette del mee-too, Un jeu brutal è inspiegabilmente poco apprezzato per quello che effettivamente rappresenta, una scelta molto radicale di messa in scena, dove echi bressoniani e rohmeriani riecheggiano, Haneke deve ancora arrivare (siamo nel 1983) e il nichilismo domina sovrano, tingendosi però di paradosso nel ribaltamento inaspettato delle premesse.

Mondo umano e mondo naturale, animali, piante, luci, colori, suoni, ritrovano una unità che sembrava drammaticamente compromessa se non definitivamente persa, quel padre che tenderà la mano alla figlia da un ipotetico aldilà dove non c’è più posto per un Dio malvagio, è la conquista di una disciplina fino ad allora ignota, forse possibile.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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