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Mondocane

Regia di Alessandro Celli vedi scheda film

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La recensione su Mondocane

di giurista81
8 stelle

 

Bastardi a Mano Armata, Letto Numero 6, Freaks Out, Calibro 9, Il Signor Diavolo, Diabolik, Il Mostro della Cripta, The Nest, La Terra dei Figli, Il Mio Corpo vi Seppellirà, Appunti di un Venditore di Donne e ora Mondocane sono solo alcuni titoli (senza contare la triade Sorrentino, Garrone, Sollima), usciti tra il 2019 e il 2021, che dimostrano a gran voce quanto, finalmente, il (buon) cinema di genere italiano sia rinato, perché di rinascita si deve parlare. Ruolo fondamentale per questa inattesa evoluzione lo si deve riconoscere soprattutto a due film: Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Veloce come il Vento di Matteo Rovere. Film premiati dalla critica ufficiale, mattatori ai Nastri d'Argento che hanno contribuito, con i loro incassi, a generare due produttori/registi (gli stessi Mainetti e Rovere) che, affiancati ai Manetti Bros, hanno portato a una vera e propria, quanto insperata, proliferazione di prodotti di intrattenimento di pregevole fattura e in condizione di rivaleggiare con quelli provenienti dall'estero. Una vera e propria rinascita che, peraltro, trova il suo corrispettivo anche nella narrativa italiana, con autori di genere (al momento Alessandro Manzetti e Luigi Musolino) sbarcati in America con dietro un background di tanti, e dico tanti, ottimi scrittori in erba, a partire da quel Lucio Besana conosciuto anche in ambito cinematografico. Da grande sostenitore dei prodotti di genere italiani (in ambito cinematografico e narrativo) non posso che fare un plauso a tutti i protagonisti di tale ripresa che, come si vede, non sono poi cosi pochi.

Mondocane, prodotto da Matteo Rovere, si segnala tra i migliori esempi della “nuova” frontiera del cinema di genere nostrano con incursioni, addirittura, nella fantascienza distopica. Alessandro Celli, al debutto in un lungometraggio (ma già pluripremiato nel circuito dei corti), scrive (a quattro mani con il veterano Antonio Leotti) e dirige una sorta di “post-atomico” di “noi attri” in cui si sostituiscono le radiazioni nucleari (un quartiere, con tanto di ruota panoramica, è chiamato “Chernobyl”) con le immissioni inquinanti liberate dallo stabilimento Ilva di Taranto (già in questo è geniale per il substrato di critica). Celli guarda da una parte a Matteo Garrone, facendo recitare gli attori in un italiano fortemente contaminato dal tarantino e portando in scena una sorta di paranza malavitosa in luogo di punk o stupratori, e dall'altra a John Carpenter (alcune musiche rimandano a 1997 Fuga da New York) senza dimenticare Castellari (ambientazioni urbane degradate) proponendo una città divisa e separata in due blocchi, uno dei quali in mano ai ricchi e l'altro ai poveri che vengono catturati e castrati come cani randagi. In tutto questo non vengono ricusati il cinema nostrano del tempo che fu (il titolo del film è già un programma, in tal senso) e la nostra cultura di fondo. In altre parole, si evita di scimmiottare Hollywood. Se vogliamo, rispetto allo stile commerciale che rese grande il “nostro” cinema, la nuova versione della produzione commerciale italiana è più matura rispetto a quella a cui eravamo abituati. Mondocane è un film tragico, un'opera in cui l'infanzia e l'educazione scolastica (non si conosce neppure che cosa rappresenti il crocifisso) sono state totalmente soffocate e sostituite da una realtà delinquenziale che fa del crimine un moto di rivalsa e di rivoluzione verso una società corrotta e politicamente gestita da un potere totalitario (e ultra capitalista) che si dimentica dei più deboli cercando di cancellare o celare l'altra faccia della medaglia di Taranto. Un mondo in cui non vi è spazio né per il diverso né per chi non fa parte della casta (quando va bene si lavora in fabbrica già da ragazzini). Un futuro chiaramente distopico in cui si vede nell'emigrazione verso l'Africa (chiaro segno di decadenza del sistema industriale occidentale) il sogno per una vita futura all'insegna della libertà e del benessere. Un'inclinazione, questa, verosimilmente dovuta alla totale mancanza di conoscenze, visto che in tutto il film non si vedono televisioni o sistemi di comunicazioni su base multimediale. L'Italia sembra infatti piombata in un nuovo medioevo in cui scorrazzano bande di motociclisti dai look punkettoni anni '80. In tale contesto va in scena la storia di due ragazzini, tolti dalla strada da un pescatore pedofilo, che riescono a farsi iniziare nella gang delle “formiche”. Un gruppo criminale, che ruota attorno alle decisioni di Testacalda (l'ottimo Alessandro Borghi, già apprezzato in Suburra), idealizzato in un qualcosa di ben lontano da quanto effettivamente rappresenti. Testacalda è un mangiafuoco che gestisce il teatrino di burattini che ha prelevato dalle strade. Ragazzini disperati, senza una famiglia e senza parte che divengono membri di un qualcosa di superiore e, per questo, uccidono a bruciapelo, assaltano ville, rubano soldi essendo tenuti uniti da un sapiente e calibrato gioco di bastone e carota. Interessante il ribaltamento dei ruoli tra i due piccoli protagonisti (bravissimi sia Dennis Protopapa e Giuliano Soprano), con Testacalda che opera un lavoro di condizionamento manipolatorio che finirà col porre contro i due grandi amici (uno dei quali portato per la vita delinquenziale, mentre l'altro di animo buono). Non manca l'azione, tra sparatorie e inseguimenti. Punto di forza assoluto sono le scenografie (straordinario lavoro, visto il budget a disposizione, di un miracoloso Fabrizio D'Arpino) e la fotografia (Giuseppe Maio) esaltata da filtri rossi. Interessante il ritmo, le carrellate e le soggettive in regia. Super bomba, in un ruolo di supporto che non passa inosservato (perfetti i costumi con stivaletti, minigonne e cosciale per pistola alla Tomb Raider), Federica Torchetti, che attendiamo in nuovi film di genere (ha il physiche du role e il carisma adatto). Che altro dire...? Bello e sorprendente. Da supportare.

 

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