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S.O.S. Summer of Sam. Panico a New York

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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La recensione su S.O.S. Summer of Sam. Panico a New York

di FilmTv Rivista
8 stelle

L’estate di Sam è quella newyorkese del 1977, quando un caldo torrido straziava il sistema nervoso e il carattere degli abitanti della città. Un’estate non tanto diversa da quella del 1986, quando in un quartiere di Brooklyn si scontrarono abitanti neri e italiani (“Fa’ la cosa giusta”). Oggi, non più Brooklyn ma il Bronx, abitato negli anni ’70 da una prevalenza italo-americana, piuttosto conformista e tradizionalista: un Bronx di giovani coppie benestanti che la sera vanno a ballare e che ogni tanto si tradiscono, di bande di amici che si sentono i signori del quartiere, di poliziotti malvisti. E di un serial killer, che proprio quell’estate cominciò a uccidere a caso, con una calibro 44. Si chiamava David Berkowitz ed è esistito davvero. Spike Lee (giustamente sconcertato dalla reazione aggressiva dei parenti delle vittime davanti al suo film, che tutto è tranne che una esaltazione del killer) mette “il figlio di Sam” (come fu battezzato Berkowitz dalla stampa popolare) al centro di un racconto molto più complesso, un’analisi dura e stringente dei rapporti tra uomini e donne (tutte considerate o sante o puttane), dei giochi di forza tra gruppi di amici e parenti, della paranoia collettiva che piano piano può impossessarsi di un intero quartiere, facendo montare la violenza fino al linciaggio. Due stili musicali (e di vita) si fronteggiano: da un lato, la disco music, con i suoi completi azzimati e le sue evoluzioni virtuosistiche (che esplode proprio quell’anno, data anche della “Febbre del sabato sera”), dall’altro, il punk rock, con le sue creste colorate e le sue dissonanze urlate che, nonostante il successo, continua a essere malvisto tra i perbenisti di Little Italy. Tanto da far coincidere l’immagine un po’ svagata ed esangue di un punk con quella di un assassino. Guidato dalle musiche, affondato nell’oscurità opaca della notte, con un occhio attentissimo a colori, gesti, slang, Spike Lee costruisce un ritratto netto (e attualissimo) della rincorsa verso l’intolleranza.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 48 del 1999

Autore: Emanuela Martini

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