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La Cosa da un altro mondo

Regia di Christian Nyby, Howard Hawks vedi scheda film

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La recensione su La Cosa da un altro mondo

di ROTOTOM
8 stelle

Classico della fantascienza del 1951, prodotto da Howard Hawks che ha ispirato il più importante e psicologicamente approfondito La Cosa di John Carpenter. In una stazione scientifica polare gli scienziati, con l’ausilio di un drappello di militari, scoprono un disco volante sprofondato tra i ghiacci e salvano un esemplare alieno incubato tra il ghiaccio. L’alieno trasportato nella base, scongelandosi, comincia a seminare morti. Seminare è il lemma giusto visto che l’alieno non è altro che un essere di origine vegetale che si riproduce come le piante e si nutre di sangue. Dal punto di vista visivo il film è datato e abbastanza ingenuo, il vampiro che si nutre di sangue una volta svelato nelle sue fattezze appare deludente risultando simile ad un Frankestein un po’ più goffo. Dal punto di vista della messa in scena e dal punto di vista politico invece è un film godibile e fondamentale nella genesi della fantascienza moderna. Benché povero di mezzi infatti la tensione che scorre nelle belle immagini in bianco e nero è tutta nel non visto, lo sguardo del vero è celato allo spettatore che deve immaginare l’inimmaginabile e la tensione sale man mano che l’incombere dell’alieno si manifesta nell’isolata stazione polare. Lo spettatore in qualche modo deve “credere” alla scoperta dell’essere spaziale in quanto non coinvolto direttamente, deve “fidarsi” delle descrizioni e delle soluzioni che gli uomini asserragliati adottano per sconfiggere il “mostro” quasi come fossero dentro una palla di cristallo, sottomessi allo sguardo dall’esterno, imprigionati e costretti a usare solo le loro forze per avere la meglio. Il film è girato in piena guerra fredda ed è lampante il riferimento al mostro come “entità sconosciuta” che minaccia di distruggerli come l’Unione Sovietica, stato Comunista ritenuto mostro per ideologia e mitizzazione. L’alieno stesso ricorda un militare, nella tuta e con le manone adunche, descritto come un essere invasore senza sentimenti o emozioni, caricatura forzata dell’immaginario popolare americano nei confronti degli “alieni” russi. La funzione catartica del film è sorretta dall’interpretazione coesa e baldanzosa del drappello di soldati americani che prendono in mano la situazione con piglio sicuro. L’eroe accigliato, i gregari coraggiosi, la bella che nonostante il pericolo si dimostra All-american-woman impeccabilmente truccata e pettinata avendo cura di avere sempre con sé l’immancabile bricco di caffè per scaldare cuori e muscoli dei prodi militari USA che dovranno anche fare fronte ad una sorta di “collaborazionismo” degli scienziati attirati dalle caratteristiche del mostro, convinti della possibilità di instaurare un dialogo verranno smentiti dall’assoluta propensione alla distruzione dell’ingombrante alieno. I buoni non hanno il cappello bianco e i cattivi il nero, ma le parti sono distribuite senza la minima incertezza, il prologo iniziale del ritrovamento del disco sfocia nella liberazione dell’alieno che secondo previsione sarà ostile ma soverchiato dalla maggiore intelligenza e capacità dei militari, con tanto di finale con storia d’amore annessa, quasi non fosse successo nulla. Lineare e scevro da qualsiasi ambiguità, il film ha un’importanza più politica che cinematografica anche se capostipite della moderna fantascienza. Ben altro spessore darà alla storia Carpenter con lo splendido remake, nichilista e ambiguo, dagli effetti speciali a tutt’oggi terrificanti e portatore sano di uno dei più bei finali della storia del cinema. Ma questa è tutta un’altra storia.

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