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L'uomo invisibile

Regia di Leigh Whannell vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'uomo invisibile

di lussemburgo
7 stelle

L’invisibilità è il perfetto espediente dello stalker, come già intuito nel 2000 da Paul Verhoeven ne L’Uomo senza ombra, prima rilettura negativa del personaggio di H. G. Wells, qui portata alle sue estreme conseguenze in tempi di rivincita femminile. Non è un caso, poi, che a interpretare la vittima e l'antagonista del personaggio eponimo del film, nonché protagonista assoluta, sia Elisabeth Moss, già eroina del Racconto dell’Ancella televisivo e attrice che sembra costruire la sua intera carriera sull’orgoglio delle donne. Sin da Mad Men, in cui interpretava l’intelligente segretaria, poi assistente quindi collega paritaria del pubblicitario rampante di Don Draper, la Moss ha sempre dato vita a personaggi intelligenti e forti, donne autonome nelle intenzioni e nel comportamento, in aperto contrasto con la subalternità imposta loro dalla società (di ogni tempo, dal passato degli Anni 60 al futuro distopico), caratteristiche già in nuce nel ruolo della indipendente figlia del presidente Bartlet in The West Wing e continuate sino alla poliziotta dolente di Top of the Lake che indaga su infanzia negata e ragazze sparite.

Icona perfettamente riconoscibile di una femminilità orgogliosa, la Moss, nel recente Uomo invisibile, interpreta Cecilia, fidanzata di un magnate high tech costretta ad una forzata reclusione e segregazione dal mondo per la volontà di possesso totalizzante dell’amante. Riuscita a fuggire di notte drogando l’uomo, Cecilia si rifugia da un amico poliziotto mentre il mondo scopre che il suo aguzzino è morto. Ma qualcuno sembra osservarla da vicino.

Lavorando sul turbamento insito della sensazione di non essere mai soli e insinuando il dubbio stereotipato dell’isterismo della donna mentre coltiva la paranoia dell’horror con l’inseguitore in agguato e slanci slasher che si confanno alla produzione Blumhouse, il film mantiene a lungo aperto il mistero dell’invisibilità (se non si è visto il trailer, troppo rivelatore) per svelarne solo verso il finale la natura e il carattere tecnologico. Quasi tutta le tensione e la messinscena sono giocate sul ruolo della visione e - come naturale e ovvia conseguenza - della visibilità, dalla costruzione con assemblaggio di videocamere della tuta, che riverbera il contorno in tutte le sue sfaccettature dando l’illusione dell’impercettibilità, per arrivare alle ardite architetture della villa del carceriere, con alternanza di vetro e cemento, aperture vertiginose verso l’esterno ad annullare le distanze a contrasto con la solidità di pareti che separano dal mondo e costringono in interni ogni libertà di movimento e sensazione di comunione con l’ambiente circostante.

Da uomo invivibile a uomo invisibile il passo è breve, il cambio di consonante si traduce in modifica di senso tramite iltravestimento,ricoprirsi di un’armatura di tecnologia - alla stregua di un Iron Man malevolo - che maschera intenzioni proibizioniste e segregazioniste imitando l’assenza. Attraverso l’artificio di un indumento improbabile e assumendo un ruolo sociale plausibile, il ricco filantropo non viene percepito come aguzzino e non può volere il male bensì essere solo malinteso da chi non ha carattere ma ha invece molti concreti interessi in gioco, la questione economica venendo sempre ribadita nel corso del film. Abituati a visioni di capitalismo apparentemente illuminato, tra Stark e Musk, l’uomo si nasconde dietro la rispettabilità potenziata dal denaro e dal potere nella percezione del pubblico, un’accezione corrente diffusa dai media che altro non è che un’ulteriore travisamento della propria natura e intenzioni dietro alla facciata riconoscibile e accettabile dalla vulgata.

Pellicola sadica e sarcastica, L’uomo invisibile mette la suo centro una donna assai visibile, vista e guardata, giudicata dagli altri, scrutata inesorabilmente e vessata da un personaggio apparentemente assente con tale efficacia da temersi ella stessa smarrita e illusa, a volte addirittura incerta, ma mai così debole da essere solo vittima e troppo consapevole da accettare la passività del ruolo. Con trucchi a volte non all’altezza ma una grande cura nella costruzione delle situazioni odella loro prevedibilità, nell’ostentata ripetizione con variazione e cambio di senso delle scene replicate, e al di là delle pur cangianti (ma limitate) scenografie, il film è un kammerspiel con una sola protagonista, isolata dal mondo da un persecutore e, in seguito, dall’altrui manipolato pregiudizio, infine accerchiata e torturata da una minaccia impercettibile, quindi anonima e indefinibile.

Nel crescendo di angoscia e solitudine del personaggio, con l’asfissiante tormento imposto a cancellare ogni ipotesi di libertà riconquistata con cui pareva aprirsi, il film sembra voler ritrarre, con la ferocia ironia dell’esagerazione satirica e allegorica, la condizione femminile in America e a Hollywood in particolare, con gli effetti di rivalsa di gender offerti del #MeToo, moltiplicati dalla caratteristica di genre del film horror. Il moderno Uomo invisibile sembra accordare il filone thriller al neo-femminismo contemporaneo con un’operazione non lontana da quella operata su Halloween con la trasformazione delle scream queen in carnefici consapevoli. La rivincita femminile diventa quindi rappresaglia d’onore, l’affermazione, siglata nel sangue, della competenza e combattività delle eroine femminili, non più damsel in distress standard ma artefici armate del proprio destino (sulla scia delle Ripley e Sarah Connor di altre saghe cinematografiche) che trascinanola natura della pellicola da horror classico a revenge movie senza giustiziere interposto.

E se qui l’uomo è effettivamente invisibile (e il protagonista in fondo rimane tale, letteralmente e metaforicamente, fin quasi al finale, in ombra, incorporeo se non addirittura assente o ritenuto morto), è perché è la donna ad essere l’eroina, orgogliosa, ribelle ai condizionamenti, capace di affrontarli con determinazione e di rispondere alla cattiveria di un amore e di un possesso molesto con efferata, efficiente scaltrezza, per pareggiare da sola i conti.

 

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