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La terrazza

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La terrazza

di axe
8 stelle

Alcuni esponenti dell'alta borghesia romana amano riunirsi, discorrere e mangiare insieme nella terrazza di un sontuoso appartamento in centro città. Sono intellettuali, imprenditori dei media, politici; pur avendo raggiunto visibilità e prosperità economica, i bilanci delle loro vite non sono positivi. Enrico è un creativo in crisi d'idee; Luigi, un giornalista in difficoltà coniugali. Sergio, un "consulente" della Rai destinato all'oblìo poichè in dissenso con le clientelari politiche aziendali; Amedeo, produttore cinematografico ridotto a finanziare un film insulso pur di compiacere la, sempre più distante, moglie; Mario, parlamentare comunista coinvolto in una relazione extraconiugale compromettente per la propria carriera. Infine, c'è Galeazzo, un artista giunto in Italia dal Venezuela per trovare maggior fortuna, ma, profondamente deluso, pronto a farvi ritorno. Ettore Scola dirige un film corale, avvalendosi di un cast di pregio, i cui componenti offrono buone prestazioni. Tratteggia l'immagine impietosa di un'alta borghesia apparentemente "illuminata", composta da intellettuali, o comunque persone che orbitano intorno ai partiti della sinistra parlamentare. Molto giovani durante gli anni della guerra, durante i quali ha avuto inizio la loro formazione, cresciuti economicamente e moralmente nei decenni del dopoguerra, del boom economico della "contestazione", a fine anni '70 sono uomini ormai alle soglie della vecchiaia. La maturità non reca loro alcun appagamento; sono nevrotici, delusi, palesemente insoddisfatti, ed hanno un buon motivo per esserlo, poichè le vicende raccontate ad emblema di tali fallimenti li vedono perdenti su tutta la linea. Il loro intellettualismo è sterile; il regista dà atto di ciò tramite i dialoghi, imbevuti di nozionismo, arguzie di poco conto, citazioni fuori luogo. Il loro impegno, inconcludente. Il mondo va avanti senza più curarsi di loro; sopravvissuti agevolmente al turbolento decennio precedente, dei gravi fatti del quale, non a caso, non è fatta menzione, ad attestare l'estraneità ad essi dei personaggi, sono ancorati a schemi di pensiero e di retorica ormai passati. La vita privata e coniugale va a rotoli, poichè troppo legata alla loro immagine pubblica. La sorte è l'oblìo; non lasceranno alcunchè, se non i denari residui, dietro di loro. Ugo Tognazzi è Amedeo, il focoso produttore cinematografico, in grado di "schivare" con eleganza progetti e personaggi poco redditizi, salvo quando è la moglie Enza (Ombretta Colli) a presentarli. L'amore tra i due è finito da un pezzo; mentre la donna continua a vivere con Amedeo per abitudine e comuni interessi, il coniuge non si rassegna e reagisce irrazionalmente. Jean-Louis Trintignant è Enrico, un creativo caduto in un grave stato di depressione a causa della perdita dell'ispirazione; percepisce di non essere pù in grado di "far ridere" e dà sfogo con esplosioni di rabbia ed autolesionismo al relativo dolore. Vittorio Gassman è Mario, deputato del Partito Comunista destinatario di richieste e blandizie, interessato a condurre una relazione, da uomo sposato, con donna di molto più giovane ed altrettanto impegnata (Giovanna, Stefania Sandrelli), possibilmente salvando le apparenze, e non alle vicende politiche del suo tempo ed alla crisi - legata al periodo del "riflusso" - in cui versa la sua area ideologica. Serge Reggiani interpreta il personaggio a mio parere più tragico, Sergio, inserito nella Rai in virtù della sua caratura di intellettuale, e costretto a vedere (senza potersi opporre) le peggiori nefandezze clientelari, lo sperpero di denaro pubblico, la mercificazione della cultura; la sua disapprovazione lo rende emarginato, e ciò a sua volta, lo logora fisicamente e mentalmente. Completano il cast Marcello Mastroianni, il giornalista Luigi, surclassato dalla moglie - che non lo ama - nella sua stessa occupazione; Galeazzo Benti impersona un omonimo personaggio giunto dal Venezuela povero in canna ma con grandi aspettative, ma destinato ad amare delusioni. In epilogo dichiara di voler tornare in Sud America, sdegnato da quanto ha vissuto nei mesi trascorsi a contatto con questi insipidi intellettuali. Nonostante la lunga durata ed il ritmo molto lento, il film si segue agilmente. L'estrema "teatralità" dei personaggi, inclini alla lite, alla prosopopea; incatenati all'apparire, alla tutela della reputazione, tiene alto il livello dell'attenzione. I toni variano dal puro dramma ad un'amara ironia; sono adeguati per rappresentare, senza alcuna indulgenza, il fallimento di una generazione, cullatasi negli agi e nei privilegi conseguiti per meriti non propri ed incapace non solo di adattarsi, ma anche di comprendere il mutare dei tempi.

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