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Dietro lo specchio

Regia di Nicholas Ray vedi scheda film

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La recensione su Dietro lo specchio

di Mr.Klein
6 stelle

Il ritratto della classe media americana ha costituito un sottogenere non sempre nobile nelle cinematografia statunitense degli anni ’50,come da noi il proletariato che ha occupato soprattutto il neorealismo e la scelta non poco irritante di risolvere i reale problemi con le note alte,spesso stridenti,della commedia all’italiana.
Oggi un film come questo può essere ritenuto fuori moda ,perché la produzione media americana ha scelto di dare smalto agli innumerevoli individui senza qualità costantemente in tiro e con i travagli ispirati dall’ambigua verginità spirituale che guarda all’elevazione morale facilmente quantificabile in dollari,invece che rivolgere il proprio interesse alle storie dei piccoli campioni della sopravvivenza quotidiana di cui,appunto,Dietro lo specchio vuole(vorrebbe) essere un capitolo.
Perché di più grande della vita,come recita il titolo originale,qui c’è la mano del regista e non proprio il risultato finale che sicuramente è rimasto molto lontano dalle intenzioni di Ray.
Non è il caso di ricordare qui quanto inqualificabile sia l’oblio in cui è sprofondato uno dei più sottili e temerari pensatori di cinema,quale Ray è sempre stato,a vantaggio di altri nomi che,non ci sentiamo colpevoli nel dirlo,non ispirano quel plebiscito che la critica e un certo pubblico continuane a imporre,ma questo film è la chiara dimostrazione di come una produzione possa seriamente compromettere l’esito di un’opera che si annunciava singolare.
Ray non era Douglas Sirk e la forma,per quanto i suoi film fossero visivamente prepotenti quando non conturbanti,non era il linguaggio esclusivo attraverso il quale far passare storie francamente improbabili,la potente ferocia cromatica non corteggia in lui le vertiginose seduzioni del melò:è un’altra esigenza quella che vuole spiegare l’inaspettata e incontrollate paura di vivere risarcita da un gesto violento,da un atto estremo o da una speranza espressa come se mai fosse esistita.
Per questo un innovativo percorso umano debilitato,affondato proprio dal desiderio di non volere crollare,viene ricacciato nelle convezioni di un dramma borghese assai lontano dalle reali intenzioni di Ray,un viaggio complesso censurato nelle sue paure,in modo tale che fosse più riconoscibile e meno veritiero,meno profetico.
Spesso nel film viene cancellata la tensione tracciata da quella mano vibrante e se ne perde il significato intelligentissimo e sfuggente che non ha interesse nei confronti della risaputa confidenza coniugale.
L’ammirevole solidità professionale del cast,soprattutto di Mason e di Barbara Rush,riesce a rendere attendibile una situazione quasi paradossale che nella sua parentesi biblica disorienta più che coinvolgere e che è tenuta in mano con un po’ di fatica da Ray.
La potenza visionaria di Ray emerge a intervalli faticosi,e su tutta l’operazione pesa la pressione di ingerenze produttive che causano una vera occasione mancata:perché non si può chiamare un pittore con il talento per gli affreschi e imporgli di realizzare una cartolina.

Su Walter Matthau

Una partecipazione non troppo impegnativa che comunque serviva da prova generale per il genere a lui più congeniale.Ma qui si difende con onore.

Su Barbara Rush

Non così sorprendente come si potrebbe pensare perché Rush ha sempre posseduto una grazia nervosa che non fa pesare la snervante devozione di questa consorte sbigottita e spaventata.

Su James Mason

Nonostante l’enfasi del personaggio che avrebbe potuto penalizzarlo Mason l’incornicia con padronanza aristocratica.

Su Nicholas Ray

Come ha ricordato Gianni Amelio ,Ray si definiva “il miglior regista del mondo che non ha mai fatto un buon film per intero”,e per uno che diretto un titolo inarrivabile come Gioventù bruciata è vero nella misura in cui glielo hanno impedito. Forse proprio con questo film cominciava un calvario artistico e personale che l’avrebbe seriamente segnato.

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