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Sorry We Missed You

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su Sorry We Missed You

di lamettrie
8 stelle

Un gran bel film sul precariato.

La “flessibilità” è il termine recente per indicare l’assenza di certezza contrattuale: che rende quasi tutti incerti sul proprio futuro in termini di sicurezza economica; ma rende solo pochi ricchi quindi al riparo da incertezze, ma senza permettere di evitare che costoro, i ricchi e quindi tranquilli, siano anche dei criminali. Tanto la legge, nella prospettiva capitalista, è fatta per essere violata: ma solo da parte di pochissimi ricchi, per via della selezione dei reati depenalizzati, che va a loro vantaggio, e del fatto che solo loro possono pagarsi gli avvocati migliori. Gli altri, la stragrande maggioranza meno abbiente, rischiano grosso: o perché non hanno soldi per pagare tali avvocati, o perché non hanno soldi per pagare la campagna elettorale di tali politici disegualizzatori (neologismo di mio conio), e quindi di controllarne poi l’operato e dunque la carriera. La quale va avanti se tali pessimi politici obbediscono a tali ricchi padroni, sovente immorali e/o rei; altrimenti si interrompe.

Il precario è costretto ad essere condizionato dai vari datori di lavoro con cui ha a che fare. E a non avere certezze di nessun tipo, come detto: deve abbassarsi a qualunque ricatto e imposizione. Il neofeudalesimo (neologismo, questa volta non mio) qui è espresso bene: o ti adegui in ogni modo, a costo di perdere dignità e minima serenità, o rischi di morire di fame; rischi di non pagare il mutuo e di vederti togliere la casa; rischi cose tremende. E mettere su famiglia è un rischio terribile, invece che, più che altro, una promessa di felicità: infatti sempre meno decidono (o si possono permettere ragionevolmente) di mettere al mondo figli.

Il capitalismo della globalizzazione sta stravincendo, da quasi 50 anni: ha trovato, in tante (sebbene non tutte) applicazioni dell’informatica, i mezzi idonei a un più efficace sfruttamento dei lavoratori. La crisi del 2008, che ha fatto danni ben peggiori del coronavirus o (almeno ad oggi, 22-5-22) della guerra ucraina, ha facilitato la povertà dei molti, e dunque l’obbligo ad abbassarsi a ogni tipo di indecenza. Pur di non morire di fame, pur di mantener la casa, pur di di pagare le bollette. I dati sociologici vanno tutti in questa direzione: basta volerli leggere. Basta non avere la cattiva volontà di non volerli leggere.

Tutto ciò ha ingenerato una terribile ansia e incertezza. Ken Loach qui lo mostra benissimo, in uno spaccato comunissimo di vita quotidiana.

Splendido l’affresco della vita familiare: la donna angelo, per quanto assai ordinaria, non è quella che avvicina al sovrannaturale, ma è quella che aiuta a vivere bene questa vita, con amore continuo, con tutti i sacrifici che ciò comporta. Il marito è un’altra figura splendida, umanamente parlando, per l’affetto che veicola e per la fatica che fa, al fine di mettere in atto tale affetto. Il loro rapporto è costretto (almeno parzialmente, poi non si sa) a incrinarsi per via dei condizionamenti socio economici: il capitalismo li (come la maggioranza degli esseri umani) ha resi delle vittime, zavorrati da un’infelicità di cui avrebbero fatto giustamente a meno, come mostrano le capacità e la volontà che mettono costantemente all’opera. Splendida la figlia dei 10 anni, dolcissima, e piena di angoscia per i problemi familiari. Ottimamente raffigurata, e pessima, la figura del figlio, il classico viziato presuntuoso e ingrato, che comunque si risveglia di fronte allo sfascio di una famiglia che si tiene assieme lo stesso, e solo perché i genitori sono brave persone che si vogliono bene, forse, e anche soprattutto, grazie alla loro semplicità, in un certo senso, e alla loro bontà, e alla volontà di volersi bene, che poi è l’unica cosa che davvero si percepisce in famiglia, per quanto sotto traccia.  

Pulito, semplice, chiaro, onesto, reale, importante riguardo ai grandi problemi della contemporaneità: questo film, veloce, fa centro.

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