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Native Son

Regia di Rashid Johnson vedi scheda film

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La recensione su Native Son

di Furetto60
6 stelle

Film a sfondo sociale. Non male

Siamo nel 1930, a Chicago un diciottenne nero, Bigger, vive nel quartiere più povero e malfamato della città, non ha un lavoro e si arrangia con qualche furtarello insieme a balordi compagni. Un giorno però la fortuna sembra bussare alla sua porta:la ricca e altolocata famiglia Dalton lo assume come autista. Mary unica figlia dei Dalton, molto democratica, fidanzata di Jan è una frequentatrice abituale di ambienti sovversivi o presunti tali,sentendosi liberal e progressista, stringe amicizia con Big e cerca di coinvolgerlo nel suo giro. Una sera dopo aver cenato e anche litigato col suo fidanzato, Big la riaccompagna a casa, ubriaca e strafatta. Il giovane ha il suo daffare a tenerla a freno, ma all'improvviso irrompe la signora Dalton,che è cieca, ma sentendo dei rumori si è allarmata,il ragazzo preso dal panico e temendo di perdere il lavoro, che gli appare come una sorta di privilegio da tenere stretto, tiene premuto un cuscino sul viso di Mary per zittirla, senza rendersi conto che la sta soffocando a morte. Quando ne prende coscienza, perde la testa e ritenendo che già ll suo colore della pelle, equivale ad una condanna senza attenuanti,capitale oltretutto,pensa bene di tenere nascosta la cosa,così trascina il cadavere nel sottosuolo e lo brucia nella caldaia del riscaldamento. Angosciati per la inesplicabile sparizione della figlia, i Dalton si rivolgono alla polizia, all’inizio i sospetti cadono su Jan il suo brillante e illuminato fidanzato,ma è facile per gli inquirenti intuire che c’entra ben poco, quando poi una donna delle pulizie rinviene tra la cenere gioielli appartenenti a Mary, Il cerchio si chiude e Bigger si da alla macchia, ma la sua latitanza dura poco, finisce in trappola e la polizia dopo un breve inseguimento lo fredda spietatamente. La storia è cupa ed amara e sottolinea come il percorso esistenziale di un afro-americano, che abita in un quartiere ghetto come quello in cui Big vive,soprattutto in quegli anni, è segnato. La povertà, la discriminazione e la conseguente ignoranza, che costituiscono il contesto in cui Bigger si muove,sono le ragioni che lo spingono a commettere un delitto accidentale e stupido e a suscitarne le autolesionistiche reazioni, che lo spingono in un tunnel senza uscita. Il film,è una liberissima trasposizione del romanzo Paura di Wright, che fu il primo libro di un autore afro-americano ad essere selezionato, seppur dopo pesanti tagli, dal prestigioso "Book-of-the-Month Club". Nell’arco di ottant’anni, il romanzo di Wright ha interessato registi come Welles, Rossellini e Carné e ispirato ben tre riduzioni filmiche.La recentissima barbara e gratuita uccisione del cittadino afro-americano George Floyd, che aveva come unica colpa quella di essere nero, da parte della polizia e la conseguente eruzione di disordini razziali, ci dimostra quanto l’analisi sociale di Richard Wright della società americana sia ancora attuale. Questa ultima trasposizione diretta dal regista Rashid Johnson nel 2019,di cui parliamo è indubbiamente la più interessante, a differenza di Chenal e Freeman, che l’hanno preceduto Johnson sforbicia soprattutto il finale, non avendo paura per questo di tradire il senso dell’opera di Wright, anzi cosi ne accentua l’attualità: In questo modo, il regista e la sua sceneggiatrice Suzan-Lori Parks ci dimostrano quanto l’assunto di Wright sia fondamentalmente ancora corretto dopo tutti questi anni.

 

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