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Un violent désir de bonheur

Regia di Clément Schneider vedi scheda film

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La recensione su Un violent désir de bonheur

di alan smithee
6 stelle

CANNES ACID 2018 - CINEMA OLTRECONFINE

Francia 1792: la Rivoluzione Francese dilaga nei suoi moti insurrezionali popolari che sconvolgono i principali centri nevralgici del paese. Nelle campagne, verso i territori di confine, ritroviamo un gruppo di truppe rivoluzionarie impossessarsi di un tranquillo monastero posto sulle Alpi Marittime attorno al borgo di Saorge. Il giovane monaco Gabriel, dalla solida fede e dalla serietà nemmeno scalfita dagli impeti della giovinezza che lo pervade, si ritrova faccia a faccia con una realtà che la posizione isolata del luogo monastico gli aveva risparmiato, giovandolo nella concentrazione verso la propria professione di fede.

Poco per volta le idee rivoluzionarie che i rivoltosi portano appresso ai loro modi di fare stravaganti ed irruenti, finiscono per plasmare la mente del giovane, invaghitosi altresì di una bellissima donna di colore, probabilmente una schiava liberata dai rivoltosi (Marianne, nome evocativo più di ogni altro, come simbolo dei moti rivoluzionari), che finisce per divenire la sua compagna di vita. aprendolo verso un'esperienza più completa della vita, che tuttavia gli consente di non rinnegare le sue convinzioni religiose maturate durante gli anni dedicati alla preghiera.

La scelta inevitabile, dettata da una coabitazione forzata di due fazioni, monaci e soldati, animati da una riverenza ugualmente forte ed ispirata verso un elemento cardine e carismatico di fatto differente, se non antitetico, verso cui votarsi, porta il giovane a dilaniarsi la coscienza, nel tentativo di trovare una soluzione al suo dilemma:

"Que vais-je faire de ma jeunesse alors que le vent soufflé sur le monde ancien?"

E' molto interessante l'esordio nel lungometraggio del giovane regista (classe 1989) Clément Schneider, riflessione acuta e matura sugli effetti di un condizionamento da fattori esterni che porta a cambiamenti, ma anche ad una presa di coscienza che scoraggia l'ignoranza o la disinformazione come scelta di vita, che ci catapulta in un'oasi paradisiaca scalfitta per la prima volta dall'eco dei focolai di una rivolta tutta terrena distante quasi più nelle sue caratteristiche, che nella distanza fisica, da quell'eremo dedicato alla preghiera e alla riflessione.

Ecco che la vita, con la sua immancabile veemenza, violenza, volgarità e pure sessualità, entra a far parte di un contesto fino a quel momento completamente impermeabile agli influssi delle problematiche meramente terrene.

Ne consegue una concitata e vigorosa presa di coscienza, che trasporta alla concretezza e all'età adulta il percorso ancora acerbo e privo di punti di riferimento del giovane monaco Gabriel.

Un cinema, quello di Schneider, che guarda a Pasolini, a Rohmer, e che si carica degli impeti e delle inquietudini che paiono vive e pulsanti anche nell'autore che tenta (e riesce piuttosto bene) a rappresentarle o descriverle.

Efficacia, naturalezza di vita e impeto fisico di corpi giovani e vitali che si attraggono inevitabilmente, scaturiscono positivamente a favore del film grazie alla scelta dei due conturbanti protagonisti, i giovani Quentin Dolmaire e Grace Seri, novelli Adamo ed Eva in un paradiso terrestre di confine, che ormai sta perdendo ogni integrità che lo rendeva un luogo fuori dal mondo.

 

 

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