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Il mercenario

Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film

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La recensione su Il mercenario

di scapigliato
8 stelle

Arriva il primo tortilla-western di Bruno Corbucci, e con lui Tony Musante che da un lato prosegue la tradizione dei Cuchillo milianiani iniziati con Sollima, e dall’altro anticipa “er messicanaccio”, sempre milianiano degli spaghetti corbucciani a venire. E ritornano il volto incisivo di Fraco Nero, la mitragliatrice che non manca mai, Eduardo Fajardo, e parecchie, ma non eccessive, esasperazioni estetiche (che ci piacciono tanto).
La storia, quella solita di messicani rivoltosi che con la scusa della rivoluzione cercano di arricchirsi solo che incontrano uno o più dritti più dritti di loro, è sviluppata senza retorica e questo aiuta a seguire il film senza problemi. Ma a farlo ugualmente c’è tutto un mondo corbucciano da cui non si può esulare. Oltre alla comunque rosicchiata iperrealtà di diverse sequenza e al sadismo di altre, ecco che in un montaggio generoso di stacchi e nell’annichilimento continuo dei personaggi (da Nero a Musante, da Palance a Fajardo, passando pure per la bella Giovanna Ralli) troviamo la potenza di Corbucci regista, ma anche autore.
Credo che di tutto il film il contributo esterno maggiore, oltre il motivo di Morricone e il set naturale di Gaudix e Almerìa, sia quello di Tony Musante. Azzeccato e carismatico. Tiene veramente bene il confronto con il messicanaccio per eccellenza, Tomàs Milian. Il suo Paco è credibile, picaresco al punto giusto, e poco istrione. Se lo fosse stato sarebbe certamente caduto nel manierismo peggiore. Mentre invece, riesce ad essere sì l’opposto completo di Franco Nero, che è fermo, tranquillo, posato e riflessivo, ma si stacca da tutti gli altri comprimari per una sua vis personalissima.
Non può saltare agli occhi quel duello finale, molto bello formalmente, a cui si arriva dopo un flashback lungo tutto il film. L’eredità leoniana è qui più pesante che altrove, ma è un bene perchè dà un sapore epico ad un momento epico: il duello. Il duello western, credo che sia sacrosanto. Fatto e rifatto in tutte le salse; dilatato o reso all’osso; in tagli lunghi e lenti o montato nervosamente; classico o risemantizzato all’inverosimile, è sempre il Duello. E Corbucci, religiosamente, ci porta nell’arena ideale in cui mettere fine ad una storia di sadismo e meschinità. E la sua struttura circolare e chiusa rende bene l’idea che era lì che bisognava arrivare, e che da lì non si può scappare. Esemplare ultima stazione del percorso umano.
Alla fine si parla di “sogno”, ma non credo nella misura per la quale sia ipotizzabile un ribaltamente dell’intenzione autoriale di Corbucci. Il film infatti non pende da nessuna parte. Forse “pende” il sadico e riuscitissimo Ricciolo di Jack Palance, ma sinceramente non capisco in quali tratti si possa allacciarlo all’omosessualità, a parte il nudo da dietro. Comunque, come dicevo, il film non si schiera idealmente dalla parte dei rivoluzionari come “Quién Sabe?” o “Tepepa” (a chi dei due la palma come miglior Tortilla-Western?), ma nemmeno li mette in discussione come se fosse il film di un conservatore purosangue. Corbucci insiste sul carattere “mercenario” dei suoi personaggi e di tutto il mondo ideale della rivoluzione, fatto più di compromessi che di sogni. E alla fine, quando il culo e la testa non sono ancora stati uniti, sentir parlare di sogno, assume credo più i toni della beffa messicanaccia, che del ribaltamento intenzionale del film. Va infine ricordato, come il Paco di Tony Musante, da rivoluzionario che era, ora fa il pagliaccio nelle corride. Gli si poteva appiccicare qualsiasi lavoro che ne sminuisse l’aurea rivoluzionaria, ma se si è stati sul pagliaccio è perchè c’era un chiaro intento di derisione. Rivoluzionario uguale buffone? É esagerata come equazione, ma non del tutto lontana dall’ideale ribelle per il quale conta di più lo “straniero”, che eticamente va solitario per la sua strada senza padroni, che l’uomo compromesso e fazioso, seppur animato da ideali profondi e civili.

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