Regia di Tim Burton vedi scheda film
“Ho scritto, diretto e interpretato, come Orson Welles in Quarto Potere!” “Sì, ma lui non indossava golfini d’angora.” Oltre ad essere una delle battute più emblematiche e azzeccate dell’irregolare, accecante e bizzarro squarcio sull’industria dei b-movie anni ’50 e soprattutto sui frustrati sogni di affermazione (del suo essere artista, ma soprattutto del suo essere) del ‘peggior regista del mondo’, è anche quella che meglio riassume l’Ed Wood che Tim Burton fotografa attraverso una telecamera che pare presa in prestito a qualche regista horror e ad un occhio esterno di qualche mostro timido uscito da un suo film. Perché ciò di cui Edward J. Wood sembra avere bisogno, costantemente, è cinema; un cinema che possa essere perfetto quanto quello del suo ideale mentore (che compare dietro una cortina di fumo, elargisce una massima che riaccende la speranza e svanisce) e che lo aiuti a diventarlo egli stesso; di un tipo di cinema che vede filtrato attraverso la sua realtà, la sua sensibilità e la sua verità, che non è però compatibile con la logica di mercato, dei sentimenti ‘ordinari’ e di qualsivoglia religione.
La regia di Burton alterna intuizioni visive (l’ombra di Lugosi che si proietta sulla tenda sembra un frammento preso da un incubo di Dracula, la fenditura che ci rivela l’urlo di Bela come rinchiuso in un manicomio agghiacciante) e momenti tanto assurdi quanto teneri (la confessione del segreto in un attimo di stasi nel tunnel degli orrori), unendo un cast all’altezza della follia della situazione. Su tutti, Martin Landau è grande nel tingere d’orrore e malinconia ogni scena, passando dalla rabbia di chi si sente un oggetto “masticato e poi sputato” al dolore senza speranza di chi non ha più nulla, dagli istanti muti in cui coglie una rosa con insopportabile strazio al commovente monologo finale, applicabile ad ognuno dei suoi imperfetti, spostati, diversi personaggi, fuori dal mondo eppure ripetutamente aggrappati alla vita, con le unghie e con i denti. “Home? I have no home! Hunted. Despised. Living like an animal… the jungle is my home! But I will show the world that I can be its master…”
Ed Ed Wood è appunto il più estremo, il più cocciuto e sognante, cui Depp dona occhi stralunati e meravigliati coi quali guarda le luccicanti insegne – alla fine cupamente sfregiate dalla pioggia – di quella Hollywood che pure gli volterà sempre le spalle, ma che fino all’ultimo tenterà di conquistare; e la cui verità respinta pure esprime un’individualità tanto fulgida che nessun test screening potrebbe spezzare. Come dire…
“Ho sbagliato. Non importa: ritenterò. Sbaglierò meglio”.
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