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Italiani

Regia di Maurizio Ponzi vedi scheda film

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La recensione su Italiani

di LorCio
6 stelle

Il treno corre lento sui binari di un’epoca in mutazione. Vi salgono personaggi rappresentativi, ma non stereotipi che parlano come libri stampati (o, peggio mi sento, come rotocalchi rosa tanto in voga in quegli anni). Intendiamoci, Italiani non è un film riuscitissimo ma non lo si può liquidare in quattro parole. Perché le ambizioni di Ponzi nel disegnare un racconto corale e polifonico sui turbamenti di una nazione “in progress” non vanno ignorate e non si può d’altronde sottovalutare l’apporto in sede di sceneggiatura di Melania Mazzucco, che meno di un decennio dopo avrebbe realizzato uno dei romanzi più importanti dei primi duemila, quel tolstojano Vita straziante e buffo sul sogno Americano e le speranze del rinnovamento nel Nuovomondo (a sua volta romanzone fluviale e corale che incorniciava con affetto i due personaggi principali, la piccola Vita e il suo amato Diamante). Ebbene, Italiani è l’Italian Dream che comincia a manifestare i primi segni di disgregazione, l’emigrazione al Nord che non è più la sicurezza di un posto fisso ma l’incertezza dello sbanco del lunario, la frustrazione del proletario di lusso (un sorvegliante sul treno, per esempio) che non riesce a concretizzare le proprie aspirazioni, le crisi d’identità e l’incomunicabilità e via discorrendo. Più vicino a Scola che Altman, Ponzi dipinge il ritratto sì con un gusto indubbio, ma non riesce a donare al film quella passione, quello slancio, quel coinvolgimento necessari per rendere l’opera memorabile. Così si limita ad un decoro dignitosamente medio, disciplinatamente sbiadito, una rappresentazione diligente ma debole.

 

Non è colpa della sceneggiatura, abbastanza accorta nell’evitare l’atteggiamento didascalico dei dialoghi, piuttosto attenti, bensì proprio della regia di Ponzi, priva di quel valore aggiunto indispensabile. C’è una bella – ma non originale – intuizione romanziera del treno degli anni sessanta che passa e si incontra con quello degli anni novanta. È probabilmente il segmento più accorato (seppur macchinoso), quello in cui vi è la risoluzione degli intrecci di trent’anni prima, non sprovvisto di una certa artificiosità (un po’ strano che si ritrovino molto tempo dopo su un medesimo mezzo) ma neanche privo di partecipazione. E così ecco che le rivelazioni non fatte trent’anni prima si compiono, le incomprensioni riaffiorano, le esistenze sono state attraversate dalle rughe del tempo. I migliori caratteri del nutrito cast sono certamente la ponziana Giuliana De Sio e Roberto Citran, protagonisti di una piccola storia di amore che viene e che se ne va interrotto dagli imprevisti, e Ivano Marescotti in un ruolo ambiguo che gli è congeniale, ma non si dimentichino Claudio Bigagli, Luigi Maria Burruano, Vanessa Gravina e Giulio Scarpati nella parte del fil ruouge delle varie storielle. Italiani che si incontrano e incrociano i propri destini, prossimi alla stagione del cambiamento radicale, imbarcati su di un treno che attraversa le gallerie e risbuca nel sole opaco che accarezza i loro volti sudati.

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