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Parenti serpenti

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Parenti serpenti

di logos
8 stelle

Ritratto di una famiglia che si vuole bene, i cui figli e consorti/e sono tutti attorniati nella casa accogliente dei loro cari genitori, per l'occasione delle feste di natale. E così la famiglia terrena dovrebbe rispecchiare la famiglia celeste, la sacra famiglia; anche perché la famiglia, quella terrena, è sacra, vincolata espressamente dalla Madre Chiesa. Ma qui si tratta del regista Monicelli, uno dei più adatti con il suo senso critico e umorismo nero a sfatare questo mito in gran parte italiano. E lo fa con una gradualità sconcertante, fino ad arrivare al massimo dell'esplosione del concetto di famiglia, lanciando spunti di riflessione su come sia davvero imprevedibile la piccola-borghesia, capace di equilibrio ma anche di violenza omicida, e se il caso virante a destra in un'Italia i cui partiti tradizionali sono in ripido declino con la prima repubblica...

I genitori anziani (Trieste e Saverio) aspettano con trepida attesa i loro figli di mezza età con le rispettive famiglie, le quali ci vengono presentate una ad ad una via via che entrano nella casa. I primi a entrare in scena sono la figlia Lina con il marito Michele, iscritto alla democrazia cristiana ma che non ha mai votato per sua stessa ammissione, con il loro figlio fanciullo Mauro, la cui voce fuori campo racconta i momenti salienti delle vacanze di natale, dal suo punto di vista. Poi abbiamo la figlia Milena e il marito Filippo, maresciallo dell'aeronautica; spunta il figlio Alessandro, con la moglie Gina e la figlia Monica, infine il figlio Alfredo, insegnante di lettere, single.


La storia ci viene raccontata dalla voce del bambino Mauro, e ce la introduce con delle belle riprese sulla cittdina di Sulmona, regalandoci la dimensione sociale ma anche storica, non priva di ironia. Per esempio in una scena un avvocato, di fronte a operai che trapano sul ciglio di una strada urbana, li intima a continuare senza troppe lamentele, ché il muro è crollato e nessuno li protegge più. Quanto basta per farci capire l'aria che tira nei primi anni '90: voglia di cambiamento, fine dell'Unione sovietica, crisi della Prima Repubblica, Fantastico e Bertè, e tutto quello che fuoriesce dalla televisione. E si perché in casa dei cari e anziani genitori (mamma Trieste e papà Saverio) la televisione è sempre accesa.

I personaggi sono ben tratteggiati. Lina è una figura nevrotica mentre il marito Michele si vanta di aver trovato l'impiego da postino al cognato Alessandro, che se fosse ancora per il suo comunismo sarebbe come tutti quelli dell'Est, poveri in canna. Alessandro del resto è un tipo timido, riservato, quieto, molto affettuoso nei cofronti della mamma e succube della moglie, la quale è molto vanitosa, e nella prima parte del film ha dei contatti fisici sporadici con Michele, ma che sono segnali di una intesa sessuale più forte. Del resto tra le sorelle e la cognata non corre una buona armonia se non di facciata, perchè appena la cognata si allontana le due inizano a confabulare contro di lei e sul povero Michele che non si accorge della sua sfacciattaggine.

Più in generale nella prima parte del film, anche se i rapporti famigliari scorrono sereni e festivi, non mancano segnali di leggera tensione che si respira nell'aria. Lina è sempre nervosa, un po' ce l'ha col figlio un po' con il marito e un po' con se stessa, un'insoddisfatta della vita. Conforta come può la sorella Milena, depressa perché non può avere figli, e appena si allude alla beltà procreativa scoppia in lacrime. Qui Monicelli ha buon gioco di sviluppare effetti comici a sorpresa. Per non parlare poi dell'insegnante Alfredo, che tutti lo vogliono sposato, e deve far divertire il parentado con le goffe imitazioni che faceva da piccolo, liberandosi in una danza impacciata e nervosa fino slanciare il suo corpo in movimenti scatenati ma coatti. In più i cognati hanno un rapporto abbastanza superficiale, succubi come sono della famiglia; va da sé che in ogni coppia comanda il membro della famiglia riunita, tranne per Alessandro che invece dipende dalla procace Gina, per questo non ben vista da tutti gli altri...

Fin qui nulla di male. In fondo è una famiglia per bene. Interessanti poi i rapporti tra mamma Trieste e i figli; viene sempre abbracciata, portata a forza da una stanza all'altra con baci e affettuosità; per non parlare di padre Saverio, ex carabiniere, la cui lieve demenza viene dolcemente assecondata dall'intelligenza intuitiva di Trieste. Trieste e Saverio sono le figure che mi sono state più impresse in positivo, sono amorevoli, vogliono sinceramente bene ai loro figli, e sanno cosa vuol dire la fatica e il Novecento. Ma i figli? Non più giovani cercano di esprimere la loro adultità ai loro figli piccoli, ma in fondo non sono strutturati, rappresentando una piccola borghesia agiata, abitudinaria, che vuole rimanere nel proprio a patto che nessuno gli pesti i piedi o gli chieda un supplemento d'anima. Allora si che diventerebbero imprevedibili, capaci di qualunque assurdità per difendere le loro abitudini. Dunque tra di loro e con i figli si nota una dinamica di relazioni insipienti, frettolose, di facciata, finte, come se dovessero interpretare un ruolo a cui non credono neanche loro. Questo sfasamento delle identità è molto piarandelliano, e del resto questi personaggi sono tutti un pò ambivalenti, dovendo mantenere un profilo dignitoso a scapito dei loro segreti o delle loro fallimenti non metabolizzati.

La seconda parte del film inizia a rivelare tutta una brace ardente sotto la bianca cenere (neve) del Santo Natale. La scorgiamo in occasione della celebrazione della Messa, pretesto non solo per pregare ma per sfoggiare la propria eleganza a scapito delle altre, per spettegolare sull'uno o sull'altro personaggio pubblico. Ritorna la figura dell'avvocato, che va in Svizzera ma non a difendere le cause, ma per incontri erotici.

Ma la svolta vera e propria è nella dichiarazione dei genitori anziani al pranzo natalizio. Anche qui non manca l'umorismo nero del malinteso. E si perchè Trieste la prende alla lontana, dichiara che Saverio e lei vogliono iniziare a cambiare aria e non stare sempre chiusi in casa. Oramai sono anziani e gradirebbero essere ospitati dai loro figli... Ma come no, ci mancherebbe ancora, rispondono in coro i figli, pensando che si tratterebbe di ricevere qualche visita dei loro genitori durante l'anno e non solo all'occorrenza del Natale. Ma il discorso di Trieste prosegue, inizia a parlare della casa, delle cose di valore nella casa, della pensione, insomma dell'eredità, che spetterà a uno dei quattro figli che si prenderà cura di loro, evitando che loro, ormai anziani, finiscano in un ospizio. Dopo il discorso, c'è il palpitante sconcerto degli astanti, dissimulato da qualche sorrisino tirato a forza, ma Trieste, da ottima interlocutrice persuasiva, stoppa ulteriormente la sua dichiarazione con un “pensateci bene, non si fa subito, magari da questa primavera”, lasciando le famiglie in uno sconcerto ancora più tetro, costette a dover decidere sul da farsi.

Da qui in poi il film prosegue nel grottesco, tutto il dolciume ipocrita viene fatto esplodere, homo homini lupus, e vengono fuori tutti gli istinti più egoistici, gretti e meschini di una piccola borghesia, intesa in un verace senso marxista.

E' questo occhio intimo-sociale del regista che davvero scolpisce. Riesce a coniugare la dimensione piscologica di una famiglia con il contesto sociale, in un periodo particolare della storia italiana. E non si tratta di un'opera scritta più avanati negli anni, quando sarebbe stato più agevole fare un resosconto di quel periodo; no, lo fa proprio in quello stesso frangente. Operazione difficilissima, anche perchè non si poteva ancora sapere che c'era in atto una vera e propria trasformazione, esplosiva. In questa attualizzazione in profondità, l'opera si fa classica. Si libera dal tempo e assume un valore a se stante, proprio perchè sa rispecchiare essenzialmente il proprio tempo, focalizzando lo sguardo nelle dinamiche di una famiglia, rendendola esemplare di una dimensione piccolo-borghese del nostro paese, in un determinato momento storico. E qui l'estetica di Lukacs, per quanto sia stata criticata, viene seguta a mio avviso alla lettera, dando  risultati  più che sperati.

Inutile dire tutto quello che ne seguira: riunioni segrete dei fratelli in cui si cerca un accordo ma si litiga su tutto, annaspando su soluzione le une contrarie alle altre, avvitando i fratelli in un ginepraio di riflessioni senza via di uscita, salvo poi un'intuizione radicale, imprevedibile, impossibile perché possibile, praticamente grottesca.

E se in Antonioni l'esplosione finale della villa paterna in Zabriskie Point vuole essere con tutta la sua virulenza il segno disperato di una generazione che tenta col sogno di liberarsi dal giogo capitalistico, quella di Monicelli, 23 anni dopo, è un'esplosione di segno opposto, di una generazione che vuole restare nello status quo delle sue abitudini, che non accetta nient'altro che le proprie abitudini, nessuna alterazione, rimanere ingessati nel proprio marciume, quand'anche a chiedere il disturbo fossero i propri genitori anziani. La sacra famiglia, dunque, non è più quello che crede di essere, ma semplicemente un affare del tutto borghese, ammantato di impocrita santità. Ma si potrebbe andare avanti: famiglia, stato e chiesa qui vengono tracciati come argini simbolici di affari sporchi, ne sono l'alone spirituale alienato per occultare, come direbbe ancora Marx contro Hegel, il crasso materialismo di una società civile in cui è legittima la lotta degli uni contro gli altri fino allo sfinimento, salvo poi sublimarsi nell'idealità dello stato, della chiesa e, perchè no, anche nell'altro apparato ideologico riproduttivo, quello della scuola, dove il piccolo Mauro finisce per leggere il suo tema sulle vacanze di natale, così come lo ha iniziato, con la semplicità dell'innocenza, che per lo spettatore diventa inevitabile sgomento inquietante.  In fondo anche per un altro motivo accattivante che si  traduce nello spettatore in un interrogativo disarmante: sono  poi così diverso da loro? a si, davvero? e perchè sono poi così diverso? Cosa non si fa contro la famiglia per la famiglia... Un Borghese piccolo, piccolo...

 





 

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