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Quella carogna dell'ispettore Sterling

Regia di Hal Brady (Paolo Emilio Miraglia) vedi scheda film

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La recensione su Quella carogna dell'ispettore Sterling

di alan smithee
5 stelle

La vendetta come unica possibilità di risarcimento: un sentimento che troviamo stampato sul volto impassibile di Henry Silva, che anche in questa occasione dispone di una sola glaciale piega espressiva, che risulta tuttavia molto efficace ad impersonare lo sguardo atono e proteso nel vuoto del poliziotto che ha perso tutto e non sa trovare pace.

L’ispettore Sterling vive in una casa incastonata letteralmente a San Francisco: dalla finestra si intravede il Golden Gate Bridge, l’isola di Alcatraz, per arrivarci attraversa Sausalito, e poi, zigzagando per Lombard Street, si getta lungo le discese ardite che rendono unica una delle città più pittoresche del mondo.

Non intravediamo il Transamerica Pyramid semplicemente perché fu costruito solo nel 1972, ovvero quattro anni dopo questo film.

Può far ridere o sorridere questa pedante ossessione per il dettaglio scenografico, ma l’aspetto in questione rimane anche uno dei molti perni affascinanti che possiamo trovare nel cinema: quello di ritrovare tutto a portata di mano, anzi di macchina da presa, secondo una magia che rimane affascinante ai più e poco plausibile solo per chi conosce alla perfezione la location in questione e si lascia ingannare da un inutile perfezionismo logistico e da accanimenti di ambientazioni spesso solo fini a loro stessi.

La trasferta americana del regista di genere ed italianissimo Emilio Pompilio Miraglia, qui presente con lo pseudonimo yankee Hal Brady (oh yeah!!), ricalca molto diligentemente gli stereotipi del poliziesco di fine anni ’60 inizio ’70: azione, colpi di scena, sentimentalismo un po’ spiccio e facilone, e un eroe solo, scorbutico, violento e vendicativo che serba nel corpo un rancore ed una vendetta che lo rendono una perfetta macchina per uccidere.

L’accumulo spy non regge molto bene o è così complicato ed inverosimile che molto presto si è tentati di arrendersi e lasciarsi andare all’azione fine a se stessa.

Ma il film nel suo complesso si lascia vedere come uno dei tanti polizieschi americani dell’epoca, costituendo per noi un orgoglioso prodotto di esportazione che sa emulare, eguagliandoli, similari prodotti made in U.S.A. non proprio indimenticabili, ma neppure vergognosi.

Henry Silva, che anche in questa occasione dispone di una sola piega espressiva, risulta tuttavia molto efficace ad impersonare lo sguardo atono e proteso nel vuoto del poliziotto che ha perso tutto e non sa trovare pace. La sua è una maschera che non ha altre sfaccettature, ma sa risultare efficace, se opportunamente inserita nel corretto contesto emotivo e scenografico.

Tra gli attori americani da esportazione, lui fu uno dei più utilizzati, anche da geni incompresi e sin troppo lasciati a se stessi come Fernando De Leo.

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