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Le strade della paura

Regia di Eric Red vedi scheda film

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La recensione su Le strade della paura

di degoffro
8 stelle

Esordio alla regia di Eric Red, sceneggiatore divenuto celebre per avere scritto il cult "The Hitcher - La lunga strada della paura" di Robert Harmon, con un implacabile ed eccellente Rutger Hauer, ma anche due dei primi film di Kathyrin Bigelow "Il buio si avvicina" curioso horror notturno, e "Blue Steel" ambiguo e fascinoso poliziesco al femminile dominato da una conturbante e sensuale Jamie Lee Curtis. Dimostrando, al solito, una notevole fantasia, in Italia il suo film è stato intitolato "Le strade della paura", mentre il più pertinente originale "Cohen & Tate" fa riferimento ai nomi dei due killer, veri protagonisti della cupa e ruvida vicenda. Come il thriller con Rutger Hauer, "Le strade della paura" è un road movie teso, robusto ed asciutto, ambientato quasi tutto di notte e su una macchina, eccetto l'ottimo prologo alla fattoria, in cui l'atmosfera campestre di calma apparente viene sconvolta dall'improvvisa esplosione di atroce violenza ed il tosto epilogo a Houston. Dominato dalle figure di due assassini dai caratteri opposti e non complementari e soprattutto dal modus operandi agli antipodi. E la forza, non indifferente, del film è proprio nella descrizione, efficace e tesa, del rapporto duro, conflittuale, nervoso, esasperato, tra Cohen e Tate e nella progressiva, sottile e geniale abilità del piccolo Travis, superata l'iniziale e comprensibile paura, di giocare astutamente con le debolezze dei suoi due rapitori. Travis ne sfrutta a dovere le diversità ed i contrasti, ne esaspera le incomprensioni ed i litigi, li sfida con inattese e sfacciate provocazioni (lo sputo in faccia e gli insulti nei confronti del grossolano Tate, per esempio), li istiga uno contro l'altro seminando dubbi e sospetti, si permette persino di dare loro consigli, li porta così a detestarsi accanitamente, fino alle estreme conseguenze. Da spettatore attivo sul sedile posteriore dell'auto, il piccolo Travis, spinto da un forte e naturale istinto di sopravvivenza, con coraggio e determinazione, interpreta dunque a suo vantaggio il crescendo di tensione che si instaura tra i due uomini, capovolgendo con intelligenza il rapporto vittima carnefice. Angosciosa ed elettrizzante la fuga di Travis attraverso l'autostrada, in mezzo ad un pauroso e continuo movimento di auto e di enormi autotreni, in un alternarsi di luci accecanti e di ombre: l'arrivo al self service ed il viaggio con il giovane agente di polizia a cui racconta atterrito la sua vicenda, danno al ragazzino soltanto la momentanea illusione di essere finalmente salvo. Apprezzabile l'ironia con cui si stempera la tensione, soprattutto nei battibecchi tra Cohen e Tate. Simpatica la barzelletta di Tate, unica occasione in cui si vede il sempre serio e arcigno Cohen lasciarsi andare ad una risata di gusto: "Sai qual'è l'ultima cosa che passa per il cervello di un moschino quando si spiaccica sul parabrezza? Il suo culo!". Ma brillante anche lo scambio di battute tra Cohen e lo sceriffo al posto di blocco: "Stanno cercando voi, eh?" domanda ancora piuttosto sicuro di sé l'uomo della legge. "Pensa alla situazione in cui ti trovi e a come salvare la pelle!" replica sarcastico Cohen, puntandogli contro la pistola. Notevole la fotografia, livida e sinistra, di Victor J. Kemper, capace di creare la giusta ed inquieta atmosfera da incubo notturno. I dialoghi, poi, anche se spesso sboccati, sono indovinati. Non siamo comunque ai livelli di "The hitcher", sia perché l'originalità complessiva scarseggia, sia perché personaggi e situazioni qua e là risultano fumettistici, sia perché, specie nella parte centrale, il ritmo si fa meno serrato, leggermente ripetitivo e meccanico con alcune soluzioni forzate ed improbabili (l'episodio al posto di blocco, per esempio, pur eccellente nella fattura e dalla suspense ben calibrata, è tirato per i capelli). Il finale western ai pozzi di petrolio è troppo diluito (e l'idea che Tate sia ancora vivo nel bagagliaio non è propriamente sorprendente, pare dettata solo dall'esigenza di piazzare lo scontato duello tra i due antagonisti), la violenza a tratti esasperata (l'uccisione del benzinaio è gratuita e superflua). Roy Scheider è in ogni caso monumentale: con una recitazione misurata e volutamente trattenuta conferisce al suo esperto, anziano, sordo e stanco sicario un'inedita ed affascinante eleganza, una sua personale moralità ed onestà che lo rende assai simpatico, pur nella brutalità e nello spietato cinismo delle sue azioni. Eccellente la sequenza in cui indifeso, smarrito, spaventato per avere perso l'apparecchio acustico, senza il quale è perduto e proprio mentre è impegnato nel cruento confronto con Tate, supplicante chiede l'aiuto e la complicità di Travis. Shaekesperiana la sua uscita di scena. Di spessore anche l'interpretazione del piccolo Harley Cross, ragazzino tutt'altro che sprovveduto, capace di tenere testa ai due criminali con ostinazione e caparbietà (sembra un parente stretto del giovane protagonista de "Il cliente" sia il romanzo di John Grisham che il film di Joel Schumacher). Più scontato e di maniera invece il personaggio di Adam Baldwin, paranoico isterico e furioso, dalla sguardo mefistofelico, con frequenti ed incontrollabili crisi di panico, con il sadico piacere di uccidere ("Hai sprecato sei colpi per la donna e l'Fbi anziché due, solo perché ti piace la vista del sangue" lo rimprovera Cohen), inutilmente esagitato, sguaiato e feroce, ai limiti della fastidiosa macchietta. Che sia lui tra i due killer a soccombere per primo è inevitabile: nei suoi occhi non balena un minimo di umanità, ma il suo cattivo è davvero poco credibile, quasi caricaturale, soprattutto quando, nel finale, si muove praticamente come uno zombi in cerca delle sue vittime da massacrare. Viene da domandarsi poi perché non abbia ucciso immediatamente Cohen, non appena saltato fuori dal bagagliaio dell'auto, quando ne aveva tutte le possibilità, anziché riempirlo inutilmente di botte. In fondo Cohen gli aveva in precedenza sparato a bruciapelo per farlo fuori, Tate aveva già cercato di ucciderlo nel sonno e la sua vendetta, in quel momento, sarebbe stata la soluzione più logica, anche in considerazione della sua esplicita ed accanita efferatezza: un limite piuttosto grossolano ed evidente di una sceneggiatura non sempre all'altezza delle aspettative. Perdonabile solo perché, senza Roy Scheider, il film avrebbe perso ogni ragion d'essere. Dopo questo film di Eric Red si sono irrimediabilmente perse le tracce. Distribuito in Italia vietato ai minori di 14 anni. Praticamente ignorato dal pubblico sia da noi sia negli States.
Voto: 6/7

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