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Io speriamo che me la cavo

Regia di Lina Wertmüller vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Io speriamo che me la cavo

di axe
6 stelle

Marco Tullio Sperelli è un maturo maestro elementare; a causa di una parziale omonimia è assegnato ad un plesso di Corzano, una cittadina campana. Ivi giunto, l'insegnante, dotato di un altissimo senso delle istituzioni e con una grande fiducia nel proprio ruolo, deve confrontarsi con una serie di gravi problemi ed un contesto sociale molto difficile. Dispersione scolastica, disinteresse del personale dell'istituto, lavoro minorile, povertà e delinquenza, impediscono ai bambini del quartiere di vivere un sereno rapporto con il loro diritto / dovere all'istruzione. Marco Tullio, con determinazione ed autorevolezza riporta sui banchi i suoi alunni e, gradualmente, li fa affezionare a sè ed allo studio, rimanendone a sua volta conquistato, tanto da non accettare con facilità il trasferimento in una località della Liguria, sua terra d'origine. Una discreta commedia agrodolce, ispirata alla raccolta di temi dei bambini di una scuola di Arzano realizzata e pubblicata dal maestro elementare Marcello D'Orta, diretta da Lina Wertmuller. Il personaggio di Marco Tullio, interpretato da Paolo Villaggio, non è un semplice maestro, per i giovani; è un educatore a tutto tondo, quasi un terzo genitore, in grado di intervenire là dove la famiglia naturale non è in grado o non riesce, e comunque sempre in sinergia con essa. I bambini - degli "scugnizzi" agli sguardi dei quali la regista concede molta attenzione tramite primi piani ed altri inquadrature particolari - inizialmente non mostrano interesse nella scuola. Comprendono le difficoltà del mondo degli adulti e le brutture del loro contesto sociale e s'impegnano per fare la loro parte, lavorando nonostante la giovanissima età, con l'eccezione di Raffaele, un vero e proprio delinquente in erba, e pochi altri. Il protagonista riporta questi giovani nella loro naturale dimensione di bambini, restituendo loro quanto i casi della vita avevano negato. Il film è ambientato in un'immaginaria cittadina di mare non lontana da Napoli, quasi fuori dal tempo. Palazzi cadenti e sovrappopolati, strade e vicoli stretti, una costante presenza del mare - ricordata, quando non inquadrato, dal continuo vagare di marinai - trasmettono sensazioni di degrado materiale e precarietà; ma il calore e gli atteggiamenti dei popolani mostrano una tenacia ed una voglia di vivere in grado di far fronte alle molte difficoltà. Il film è molto didascalico, e non molto realistico fino in fondo nella ricostruzione di quell'indefinito lembo di Campania e delle sue storie; immagino, tuttavia, che l'interesse precipuo della regia non fosse quello di far denunzia sociale, bensì di dotare di volti, paesaggi, ambienti le già molto note composizioni raccolte da Marcello D'Orta; in questo l'opera riesce, e si lascia vedere piacevolmente, tra sorrisi, riflessioni, ed anche qualche lacrima.

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