«Continuare a vivere significa continuare a fare film» dice Máximo Espejo, il regista di Légami! è paralizzato sulla sedia a rotelle, in preda a pulsioni fisiche voraci e inappagabili per la bella protagonista, ma non importa: importa il cinema, che si fa «con il cuore e con i coglioni», e quelli funzionano. Il cinema si deve, anche se non si vede: il cinema si fa anche da ciechi, ed è il caso di Mateo Blanco, che perde la vista e l’amore in un incidente ma torna alla celluloide per ricomporre Gli abbracci spezzati.

Lluís Homar
Gli abbracci spezzati (2009) Lluís Homar


Suo malgrado, il Salvador Mallo di Dolor y gloria la pensa diversamente. «Se non scrivi e non giri, che farai?» gli domanda un’attrice. «Vivrò, suppongo». Il mestiere del cinema richiede un gran fisico, e quello di Salvador è martoriato da acciacchi, dorsalgia ed emicranie; quando ingoia si strozza, e ha bisogno di un cuscino su cui appoggiarsi quando si china per prendere un libro o l’eroina, che un perduto amor sniffava negli anni 80 della movida madrilena e di cui oggi lui fa un uso analgesico. E reminiscente: la dimensione oppiacea apre un orizzonte onirico-memoriale, rinviando al candore dell’infanzia e alla scoperta dei volti del cinema, il cinema che ha la forza dei fuochi d’artificio nel cielo sopra una sala d’attesa acconciata a temporaneo giaciglio notturno, il cinema che è fatto «di piscio e di brezza d’estate», di organico e di naturale, il cinema che è dipendenza, allucinazione, sogno, memoria ma soprattutto finzione.

Antonio Banderas, Pedro Almodóvar
Dolor y gloria (2019) Antonio Banderas, Pedro Almodóvar


Perché quella sala d’attesa, quei fuochi, quel candore e quell’infanzia si rivelano, nell’ultima inquadratura di Dolor y gloria, il film con cui Salvador esce dalla propria stasi, finzione nella finzione, elaborazione di ricordi a cui assegnare una continuità logica, a cui restituire un’immagine, rivederla e riviverla. La messa in abisso finale riafferma come per Almodóvar il cinema sia l’unico e prioritario strumento di produzione di senso, della e nella vita (come nel capolavoro La mala educación, ma con un ribaltamento di segno: da negativo a positivo). Siamo all’apice dell’autofiction almodovariana? Nelle mani del manchero quest’etichetta, come ogni altra marca caratterizzante la sua opera (il grottesco, il black humour, il fremito omoerotico, lo schieramento matriarcale, il gioco delle parti senza soluzione di continuità), non basta a se stessa.

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La mala educacion: scena

Il suo cinema eccede il reale, perché per trovargli un senso, o farne detonare il nonsense, bisogna stravolgerlo, stratificarlo, anagrammarlo. Per il Nostro, il cinema deve risolvere la realtà, riempirla di riflessi e “serendipitismi”, di un surplus, di vite altre e oltre. Ha accostato Dolor y gloria a opere autoriflessive ma in cerca di uno sguardo al di fuori di sé come L’anno del pensiero magico di Didion, Vite che non sono la mia di Carrère e Arrebato di Iván Zulueta: film e romanzi con la morte come personaggio centrale, quella morte che, nella filmografia almodovariana, ha raggiunto un picco di protagonismo in Julieta e che in Dolor y gloria emerge filtrata da una nuova lucidità, riposta in una platea di simboli ricorsivi che l’autore contempla e intorno ai quali scrive il racconto di una pacificazione, di un ritorno alla vita.

Pedro Almodóvar, Adriana Ugarte
Julieta (2016) Pedro Almodóvar, Adriana Ugarte

Dolor y vida si chiamava il saggio in cui la scrittrice di Il fiore del mio segreto esplicitava l’ammirazione per artiste «avventurose, suicidali, matte». Tutto ciò che Almodóvar è stato; ora, sostituendo alla vita la gloria cinematografica, la fa coincidere con l’origine del proprio mondo: una grotta, un primo uomo, un Adamo. Il primo desiderio (titolo del film nel film) è tutto quel che serve. Non ha senso fermarsi ai limiti del corpo, crogiolarsi nella colpa, fare del presente l’ennesimo pasticcio del passato. O chiedersi cosa sia (stato) vero, e cosa no. Importa solo ciò che è stato cinema, e ciò che ancora può esserlo.

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Il fiore del mio segreto: scena

Autore

Fiaba Di Martino

Fiaba riceve in fasce un nome lezioso che le profetizza l'amore per le storie, nel cinema, sul cinema e del cinema: a dieci anni vota i film disegnando a matita i pollici di Film Tv accanto ai biglietti della multisala più bella di sempre, l'Arcadia; di lì a poco si innamora delle finestre di Hitchcock, degli occhi di Jean Gabin e dell'aplomb di Lauren Bacall, e lo urla al mondo prima dal giornalino scolastico del classico poi dai siti web (MyMovies, Players, PositifCinema, BestMovie.it), mentre frequenta corsi di scrittura alla Scuola Civica di Cinema milanese e scrive un libro su Xavier Dolan con la collega positivista Laura Delle Vedove. Lost in translation nello stereo totale, ritrova se stessa nella pioggia di Madison County, nelle lettere di Gramsci, nelle ferite di David Grossman, nelle urla liberatorie di Sion Sono, nelle risate di Shosanna Dreyfus, nei silenzi di Antonioni, nelle parole di Frances Ha («non sono ancora una vera persona») e nello spazio tra i titoli di testa e quelli di coda.

Il film

locandina Dolor y gloria

Dolor y gloria

Commedia - Spagna 2019 - durata 108’

Titolo originale: Dolor y gloria

Regia: Pedro Almodóvar

Con Antonio Banderas, Penélope Cruz, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Julieta Serrano, Raúl Arévalo

Al cinema: Uscita in Italia il 17/05/2019

in streaming: su Apple TV Amazon Video Rakuten TV Timvision